GL
I A
NNI di nostra Salute erano peruenuti al numero di MDLXII.
&era il Mese d'Aprile quando l'Illustrissimo Sig. Donno Alfonso d'
Este Duca di Ferrara, per cagione di uedere una bella, nobile & ricca
Città; non solamente gloria, splendore & riputatione della bella Italia; ma anco di tutto 'l Christianesimo; & forse per altri
suoi negotij
d'importanza, uenne à Vinegia; onde da i nostri Sig. Illustrissimi Venetiani con solennissima pompa & regali apparati; com'è
lor costume
di riceuere tutte quelle Persone, che sono d'alto affare; fu riceuuto. Hauea questo Sig.
seco menato i miglior Musici, ch'appresso di lui si ritrouauano; tra i quali (lasciando
gli altri, per non esser lungo) era Francesco Viola suo Maestro di Cappella & mio sin
golare amico. Questi uenuto un giorno à ritrouarmi alla mia stanza, & presomi in sua
compagnia, s'auiassimo uerso la bellissima piazza di S. Marco. La onde uedendo aperto
il suo famoso & ricco Tempio, che de belli & finissimi marmi, con una gran copia di co
lonne, è fabricato; percioche già era l'hora del Vespero, entrammo in esso; & pascendo
la vista per un buon pezzo di tempo, con belle pitture, che iui si ritrouano da buoni & eccellenti maestri di Mosaico antico
& moderno lauorate; insieme andauamo ragionando
della lor bellezza & della ricchezza del Tempio, & della spesa grande, ch'in esso faceuano i nominati Signori Illustrissimi,
come quelli, che sono stati sempre religiosi, & à Dio
deuoti; per adornarlo di quelle cose, che uedono esser necessarie & conueneuoli, & portino bellezza, decoro & maestà al culto
Diuino. Hora mentre che noi con sommo piacere & nostro gran gusto andauamo discorrendo molte cose; essendo già finito il Vespero;
eccoti comparere il gentilissimo M. Claudio Merulo da Correggio, soauissimo Organista;
il quale uedutoci, s'accostò à noi; & conosciuto il Viola; dopo gli abbracciamenti fat
tisi l'un con l'altro, ci ponemmo à sedere. Il perche essendosi tra noi de molte cose degne
& honorate, come 'l luogo richiedeua, per un buon pezzo ragionato, fatto dissegno di partire; prendemmo tutti d'accordo il
camino uerso la stanza di M. Adriano Vuillaert, allo
ra Maestro di Cappella di questa Serenissima Signoria; il quale poco lontano dimora
ua, per conto di uisitarlo; & essendo molestato dalle podagre, non si partiua di ca
sa; à fine che la presenza de i suoi amici amoreuoli & carissimi, gli apportasse qual
che solleuamento. Arriuati adunque che noi fussemo, & ritrouato, che 'l sudetto Sig.
poco inanzi era stato à uederlo con una bella, degna & honorata copia de Signori &
Gentil'huomini; dopo molti ragionamenti hauuti da una parte & l'altra; i quali com
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memorauano le cortesie, che questo Sig. eccell
entissimo molte uolte usato gl'hauea; & qu
anto care gli erano le sue c
ompositioni; & come per lui erano uenute à luce una grandissima
parte di quelle cose, ch'egli hauea gia c
omposto; le quali stauano quasi sepolte. Et hauendo
insieme con buon proposito discorso molte cose della Musica, & della nostra amicitia; à
caso arriuò un degno & honorato Gentil'huomo forastiero amico di M. Adriano, uenuto
simigliantemente per cagione di uisitarlo. Questi grandemente si dilettaua della Musica;
ma sopra ogn'altra cosa desideraua udir ragionar delle cose dell'Arte, & della Sci
enza; percioche per molt'anni in
anzi studiato hauea nella Filosofia, & hauea letto molti Autori Greci & Latini, i quali di Musica trattauano. Di questo il nome
era Desiderio; & era di natione L
ombardo, da Pauia; ilquale dopo un lungo ragionamento de uarie cose insieme fatto;
hauendo da quel, che detto si hauea compreso, chi erauamo, il nome di ciasched
un de noi,
il cognome, la patria, & la particolare professione; cosi ancora noi hauendolo dal suo parlare à pieno conosciuto, & informatoci
delle sue qualità & conditioni; uoltatosi questo
Gentil'huomo uerso di me; in cotal guisa incominciò à dire. Veramente credo M. Gio
seffo, al desiderio ch'io tengo di potermi risoluere d'alcuni dubij, che mi uanno per la m
ente già molt'anni sono, dopo ch'io uidi & studiai insieme c
on molt'altri libri di Musica le uostre
Istitutioni harmoniche; che non mi potea abbatter meglio di quello, c'hoggi mi son
abbattuto. Percioche ricordandomi molte cose, mi par uedere, che tutto quello,ch'io leggo in molti Autori, & che di continuo
odo da Musici ricordare, mi generi nell'animo tanta confusione,ch'io per me non mi sò risoluer'in molte cose, di quel ch'io
habbia da tene
re & credere. Et per diruene una, che mi fà molto dubitare; ritrouo, che Pitagora neg
ando
di potersi passare oltra la Quadrupla; come nel
Cap. 2. delle nominate Istitutioni nella Seconda parte hauete detto; non acconsentiua, che quelli Interualli, i quali hanno la forma
loro da i Numeri, che sono maggiori del Quaternario, fussero consonanti. La quale opi
nione fù tenuta da molti; imperoche Euclide Prencipe de Mathematici nel suo
Introdottorio di Musica chiaramente manifesta cotali Interualli dicendo: Διάφωνα δὲ τὰ ἐλάττονα
τοῦ Διατεσσάπων, Δίεσις, ἡμιτόνιον, τόνος, Τριημιτονιον, Δίτονον, Lequali parole uogliono di
re; Ma le Dissone sono quelle, che sono minori della Diatessaron; il Diesis, lo Semituono,
il Tuono, il Trihemituono, il Ditono; hauendo egli prima detto; Σύμφωνα μὴν οὖν ἐστὶν Δια
τεσσάρων, Διαπέντε, Διαπασῶν, καὶ τὰ ὅμοιοα; cioè, Ad
unque le C
onsonanze sono la Diatessar
on
la Diap
ente, la Diapas
on, & altre simili. Et Aristosseno antico Musico nel
Lib. 2. de gli Elementi Musicali dice; ἔστω δὴ τῶν συμφώνων ὀκτὼ μέγεθα. ἐλαχιστον μην τὸ διὰ τεσσάρων. συμβέβηκε δὲ τοῦτο τῇ αὑτοῦ φύσει ἐλάχιστον εἶναι.
σημεῖον δὲ τὸ μελοδεῖν μὴν ἡμᾶς πολλὰ τοῦ διατεσσάρων
ἐλάτω, πάντα μέντοι διάφωνα; cioè, Siano hormai Otto le magnitudine de i conson
anti, de i
quali sia minima la Diatessar
on: ma ciò auien'ancora naturalm
ente esser minimo; del che n'è
segno, che noi c
antiamo molti Interualli, che sono minori della Diatessaron; che sono tut
ti dissoni. Tolomeo eti
andio, chiama la Diatessar
on col nome d'ἐλαχίστης, καὶ πρώτης συμφω
νίας; cioè, Minima & prima C
onsonanza. La
onde chiaramente si uede, che cotal cosa appresso de costoro era tenuta per uera. Et perche uedo in fatto, & intendo da uoi Musici esser'il
contrario; però non sò in qual maniera possa credere; che se ben Pitagora & gli altri, che
lo seguirono, negaua cotal cosa, la negasse semplicemente; come le parole à noi suonano.
Ne mi par, che questo habbia del uerisimile; essendoche Pitagora & li Pitagorici sono stati huomini saputi, di gran giudicio,
& d'eleuato ingegno; & h
anno hauuto quel buon senti
mento; come si può credere, che habbiamo noi; col quale si poteuano certificar, se la cosa
era in fatto, come la credeuano & teneuano; delche forte mi marauiglio. Però desidero
grandemente intender da uoi, donde cotal cosa nascer potesse; la quale appresso di me è
tanto difficile; ch'io n
on posso far, che ricordandomi non la chiami errore. Soggi
unse M. A
driano à questo, s
enz'aspettar'altra risposta: Io ancora già molto t
empo è, ch'io desidero d'intender questa cosa; poscia ch'io t
engo fermam
ente; come diceua il S. Desiderio, che gli Antichi n
on fussero priui ne del sentimento dell
'Vdito, neanco di giudicio; ma che conosces
sero cosi bene il buono & il tristo, come conosciamo noi: ma che dite uoi di questo M. Fr
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cesco? credete anco uoi, che questo sia uero? Io l'hò per fermo Messere, rifpose M. Francesco, che gli Antichi hauessero tanta
cognitione del buono & del tristo, quanta ne habbia
mo noi. Et forse, che come quelli, che dauano grandemente opera alle speculationi, più
di quel, che facciamo noi, hauessero 'l Senso più purgato; ma per qual cagione ciò facesse
ro, haurò anch'io molto grato il saperlo da M. Gioseffo. Allora tac
endo ogn'uno, dissi: Sig.
Desiderio, ancora che questa cosa sia molto difficile, & alle spalle mie carico troppo gra
ue, & cosa ueramente da ricusare; tuttauia desiderando di satisfare in qualche parte al uostro desiderio; poi che questa è
la prima uolta, che s'habbiamo ueduto, & lo primo appia
cere anco, che m'hauete richiesto; non resterò di dirui tutto quello, ch'io sento sopra que
sta dim
anda; tanto più ch'io ui uedo tutti d'un'istesso uolere, & accesi d'un buon desiderio;
ond'io per satisfarui, non porrò t
empo alcuno di mezo. Pregate adunque Dio, che mi illumini la mente à dir cose, che ui siano di satisfattione. Cosi faremo, rispose
M. Adriano; & ui
preghiamo tutti ad incominciare. Auertite adunque, soggiunsi; c'hauendo Pitagora hauuto opinione, che tutti quelli Interualli,
che sono consonanti, hauessero le forme loro con
tenute dalle Proportioni del genere Molteplice, ò Superparticolare solamente; hebbe
per fermo, che tutti quelli, che le hauessero contenute sott'altri generi, fussero al tutto
dissonanti. La onde, uedendo che i Tetrachordi del genere Diatonico diatono, ilquale
più d'ogn'altro da lui, & da i suoi seguaci era riceuuto, procedeuano dal graue all'acuto
per due Tuoni di proportione Sesquiottaua, & per un Semituono contenuto dalla pro
portione Super 13. partiente 243. & che i due Tuoni, i quali formauano il Ditono, era
no contenuti ne i loro estremi dalla proportione Super 17. partiente. 64. & che un Tuono
col nominato Semituono, dal quale si poteua formare un Semiditono, erano contenuti
dalla proportione Super. 5. partiente. 27. ritrouandosi queste due proportioni tra quelle
del genere Superpartiente, veniua à concludere; per la prima ragione, che ui posso dire;
che quelli Interualli, ch'erano contenuti tra queste forme, ne i loro estremi fussero; come
ueramente sono; dissonanti. Dalla qual Regola non escludeua i due Hexachordi maggiore & minore; essendo c'hanno in tal genere
le forme loro. Et questo è troppo uero; percio
che cotali Interualli ridotti in atto, si conoscono esser poco grati all'Vdito. Onde tale opinione non è da esser giudicata
falsa, quanto à questa ragione; & non dee parer cosa stra
na. Quel che uoi dite; rispose M. Adriano; è uerissimo; ma mi par gran cosa da dire; essen
do (come chiaramente da ogn'uno di giudicio si comprende) che tutta la uaghezza & la
leggiadria della Musica, & dirò anco ogni sua diuersità, è posta nelle due Consonanze
minori della Diatessaron; cioè, nel Ditono & nel Semiditono, & anco nei due Hexachordi maggiore & minore; che gli Antichi
non hauessero mai udito tra Sette spacij contenuti
nella Diapason; & n
on hauessero conosciuti i nominati Interualli essere c
onsonanti. E' ben
uero, che 'l non hauerli per c
onsonanti, crederò, che fusse fatto non senza qualche ragione.
Messere, risposi; à questo, che uoi hauete detto, risponderò con un'altra ragione. Bisogna
che uoi c
onsideriate, che se gli Antichi hanno uoluto udire gli Interualli nominati, facea di
mestieri, che eglino li hauessero uditi in uno de due modi; prima sotto le Forme contenute tra i Sette nominati spacij, ouer'Interualli
della Diapason; dopoi sotto altre forme ua
riate da quelle. Quanto d'hauerli udito nel primo modo; credetemi, che li udirono disso
nanti; percioche le dette forme sono sottoposte al genere Superpartiente; ma in quanto
l'hauerli udito sott'altre forme; sia poi nelle uoci, ò ne i suoni; questo è ben possibile d'
hauerli udito consonanti. Auertite però, che in due modi li poteuano udire nella secon
da maniera; prima ne i proprij, ueri, & naturali luoghi; dopoi fuori di essi. Se li uole
uano udire ne i proprij & ueri luoghi sopra i loro Istrumenti, quest'era impossibile; percioche cotali Istrumenti n
on erano suffici
enti; essendo che (come hò detto nel
cap.2. della Seconda parte dell'Istitutioni) gli Antichi non passarono mai la Quintadecima uoce, ò chor
da; ne mai passarono (secondo 'l precetto di Pitagora) la proportione Quadrupla;
se ben si legge appresso di Giulio Polluce di due Istrumenti, l'uno de i quali chiama Epigonio, dal nome dell'Inuentore chiamato
Epigono ambraciota, che hauea 40. chorde; &
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l'altro Simico, ilqual n'hauea 35. i quali Istrumenti credo, che fussero molto dopoi quella
età nella quale fiorirono i primi & più illustri Musici & che di loro ne fusse fatto poco c
onto:
percioche tra quelli, che trattano le cose della Musica, non se ne troua alcuna memoria; se
n
on (come ho detto) appresso il Polluce, che uisse ne i t
empi dell'Imperatore Comodo di nome; ma inc
ommodo al mondo; alquale egli dedicò la sua opera, intorno gli Anni di Christo
190. Onde essendo cosi; necessariamente gli udiuano fuori de i loro luoghi, & ne i luoghi
n
on proprij. Et se ne i luoghi n
on proprij le udirono, n
on poteuano pienamente satisfare al s
enso; ilperche sforzatamente le giudicarono disson
anti più tosto, che c
onsonanti; per laqual cosa son di parere, ch'essi non per altro giudicassero gli Interualli, che sono minori della Diatessaron
dissonanti, se non perche non hebbero cognitione, ò per dir meglio, non intesero
i ueri, legittimi, proprij & naturali Luoghi delle Consonanze; cioè, doue ciascheduna si
douea naturalmente collocare; essendoche (come tutti uoi sapete) se bene il Ditono è c
onsonanza, tuttauia posto fuori del suo luogo naturale, & collocato nel luogo d'un'altra consonanza, più tosto rende dissonanza,
che buon concento; ilche dir si può anco della Dia
tessaron; percioche posta per base della Diapente tra la Diapason; non dà quella satisfattione all'Vdito, che fà quando si
pone essa Diapente per base della Diatessaron nella Diapason. Questo è purtroppo uero, rispose il Merulo, & l'esperienza,
ch'io fò ogni giorno
nel sonar l'Organo lo dimostra; perche quando il Ditono si ode nelle uoci, ò ne i suoni collocato nel graue, allora parmi
di udire un non so chè di tristo, che nasce nella compositione da tale Interuallo, che s
ommamente mi offende il sentimento. Et questo ueram
ente n
on si
potrà da alc
un di sano giudicio negare. Ma se cotale Interuallo si uà riport
ando uerso l'acu
to, quanto più si trasporta, t
anto più rende maggior dilettatione al senso; di maniera che se
quel Ditono, ilquale è posto nella parte graue d'alcuna cantilena, offende alquanto l'Vdito; quel ch'è posto tra 'l graue
& l'acuto, non solo non offende, ma anco diletta. Quando
poi è posto nella parte più acuta, dà maggior diletto ancora, di quello, che non danno i
due nominati, posti nella maniera già detta. Disse allora il S. Desiderio; Parmi che questa
cosa sia di non picciola importanza da sapere; Ma poniamo che 'l Ditono, il quale hauete
nominato, posto in luogo graue in cotal maniera faccia tristo effetto: farà forse quell'istesso il Semiditono? Non solamente;
rispose il Merulo, lo farà tristo; ma tristissimo, di tal sor
te, che quasi non si potrà udire; & questo è uero, credetelo a me, che spesso l'hò prouato
nell'Organo; come ho detto; perche se quando si uien'à toccar nella parte graue il Ditono, s'ode tristissimo effetto; se per
caso si tocca il Semiditono, fà una ruina tanto grande,
che à pena si può udire. Ma quando questi Interualli sono toccati nel mezo
de cotali Istrumenti ne i loro gradi, fanno udire suono grato & soaue. Et se si toccano ancora più uerso
l'acuto, fanno migliori effetti; di maniera che quel, c'hò detto è uerissimo. A fè, rispose il
S. Desiderio, che mi piace questa cosa, & credo che pochi siano quelli, che cotali cose considerino. Pochi sono ueramente
Sig. mio; rispose allora M. Francesco; & tanto pochi, che
io non ue ne saprei ritrouar molti. Voglio dire anche più oltra (soggiunsi io) che non so
lo quest'Interualli, quando sono posti nel graue, possono offender l'Vdito; ma etiandio
quando sono posti nell'acuto; percioche quando 'l Ditono tiene il luogo del Semidito
no, ò per il contrario; se pure non discordano, almeno danno manco dilettatione.
Et sappiate, che la maggior parte de tutte quelle compositioni Musicali, che poco
dilettano; tra gli altri difetti, che hanno, questo è un de quelli. Veramente è cosi;
disse Messer'Adriano; percioche hò posto mente, che in tutte quelle Canzoni, che mi
dilettano, si troua 'l Ditono esser replicato tra le parti, sopra la parte del Basso; al contrario in quelle, che poco mi
piacciono, hò compreso, che 'l Basso sopra di sè molte fiate hà il
Semiditono. Douete sapere Sig. (risposi io) com'io hò detto & replicato molte fiate nelle
Istitutioni,
1. Par. c.
13. & 3.
par. c. 60. che le C
onsonanze nella Musica hanno i lor gradi, & naturalmente occupano
quei luoghi, che tengono tra i Numeri harmonici le lor forme. Et quando tali Consonanze sono poste al contrario; se non fanno
tristo effetto; almeno lo fanno m
en buono,di quel
che farebbono, se ne i lor proprij luoghi fussero collocate. Però, si come la Dupla, che è
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la uera forma della Diapason, collocata ne i numeri tra 2 & 1. per darui un'essempio; tiene il primo luogo tra essi, & tra
le proportioni è la prima; essendo che inanzi de questi due
termini 2 & 1. non si troua numero, che sia minore; cosi tra le Consonanze non se ne ritroua alcun'altra, che per origine
sia prima della Diapason; onde la Diapason tiene 'l primo
luogo nel graue, & inanzi non si ritroua Consonanza alcuna, che sia maggior, ò minor di
lei. Il perche hò detto molte fiate, che la Diapason è la Prima consonanza, dalla qual nascono tutte l'altre, siano poi di
essa maggiori, ò minori. Soggiungo anco di nuouo, che ella è non solo Principio; ma Elemento de tutte l'altre. La onde si
come la sua forma sem
plice, contenuta ne' suoi termini radicali 2 & 1. non riceue altro numero, ò termine mezano, che la diuida in due parti; cosi
essa non admette nel primo luogo & grauissimo dell'ordine delle Consonanze alcuna chorda mezana, ne anco nella parte grauissima
di qual si uoglia Istrumento, che la partisca in due Interualli; onde si possa udir'alcun'effetto, che n
on
sia men grato di quello, che si ode, quando si fà udir semplicemente. Nel secondo luogo si
ritroua la Diapente, la cui forma è 3 & 2. che tra l'ordine naturale de' numeri tiene pure il
secondo; il perche uà posta senza mezo alcuno dopo la Diapason. Et si come tra 3 & 2. n
on
ui può capire alcun mezano numero; cosi tra l'estreme chorde della Diapente non può cascar'alcuna chorda mezana, che in qualche
parte non offenda il sentimento. Dopo que
sta segue nel terzo luogo la Diatessaron tra 4 & 3. nell'ordine naturale de numeri, la qua
le non riceue alcun mezo, che operi buono effetto; onde essendo poste tutte queste Consonanze l'una dopo l'altra (come altroue
ho detto
Inst. lib. 1.
cap. 15.) sopra d'un'Istrumento per ordine, senza porui in mezo alcun'altra chorda, gratissimo suono & soaue concento udir fanno.
Ma
se per auentura nel graue la Diapason uenisse ad esser tramezata, di modo che nella parte
graue s'udisse la Diapente, & nell'acuta la Diatessaron, subito si udirebbe mutar forma il
conc
ento, & un non so chè di non cosi grato, com'era 'l primo, all'Vdito. Et se ancora tra
questa Diapente si interponesse una chorda, la quale uenisse à diuiderla in due parti; cioè,
in un Ditono & in un Semiditono, & questo fusse collocato nella parte acuta, & quello
nella parte graue; allora s'udirebbe cosa, che all'Vdito apportarebbe gran dispiacere.
Questo, però non è l'ultimo grado della poco grata adunanza delle Consonanze; percioche ancora si troua di peggio; & ciò intrauiene
quando 'l Semiditono uiene à tenere il luogo del Ditono, & questo il luogo del Semiditono, & sono posti tra la Diapente al
contrario di quello, ch'erano prima; cioè, che 'l Ditono tenesse il luogo acuto, & lo Semiditono
il graue; perche allora si udirebbe quella ruina estrema, che possono far le Consonanze a
dunate insieme; ess
endoche questo ordine allora sarebbe posto alla riuersa; cioè, che 'l Semiditono occuparebbe il primo luogo nel graue, il Ditono
il secondo, la Diatessaron il ter
zo, il quarto la Diapente, & la Diapason tenerebbe nell'acuto il sesto & ultimo luogo. Et
credo, che tutti quelli, c'hanno giudicio, & hanno prattica de gli Organi, possono questo
molto ben sapere; percioche, quando cotali Istrumenti sono sonati à pieno, maggiormente di quel che non fanno gli altri Istrumenti,
che hanno poco spirito; scuoprono tale con
quassamento. Si che S. Desiderio; mi par che hora si possa comprendere, in che consista,
& quel che sia la già addimandata à me da uoi differenza; laquale à gli huomini d'inge
gno eleuato, non è difficile d'apprendere; ma si bene à quelli, che sono di poca tenuta; tra
i quali se ne trouano al presente de quelli, che questa cosa non capiscono, come se fusse cosa della quale non si potesse
hauer esperientia alcuna; Onde non la intendendo, la biasi
mano. Hauend'io detto questo; riuoltatosi à me disse, il S. Desiderio; Ditemi ancora questo; per uostra fè; perche maggiorm
ente tanta ruina fanno questi due Interualli, ch'ultima
mente hauete nominato, posti nel graue, che non fanno qu
ando sono situati nell'acuto? Per
due cagioni, risposi; l'una, perche 'l luogo del Ditono & del Semiditono n
on è l'esser posto
nel graue, ma nell'acuto; l'altra, perche posti al modo detto, non sono collocati per ordi
ne, secondo i gradi & i luoghi loro, ma al contrario: essendo che quell'Interualli, che so
no di maggior proportione naturalmente uogliono il luogo più graue, & queli di mino
re, il luogo più acuto. Ne mai ritrouarete nell'Ordine naturale delle Consonanze, che
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il Ditono segua uerso l'acuto immediatamente 'l Semiditono; ma ritrouerete il contra
rio; che tenendo 'l Ditono il luogo più graue, il Semiditono immediatamente lo segue uerso l'acuto; di maniera che un tal
disordine nasce da queste cagioni, quantunque l'uno
& l'altro siano consonanti. Adunque; soggiunse il Sign. Desiderio; per quel ch'io ueg
gio il poco accordo, che tallora fanno le parti d'una compositione, procede non solamente dal mescolamento delle Dissonanze,
ch'alle fiate ui si fà per dentro; ma dal porre in esse
con male ordine le Consonanze. Cosi è in fatto, rispose M. Claudio. Non è stato adun
que fuor di proposito, disse M. Adriano, che nelle mie compositioni habbia schiuato, più c'
hò potuto, di por cotali Consonanze nella parte graue; al modo c'hauete dichiarato; perche pur troppo mi parea, che non stauano
bene; quantunque io non ne sapesse render ra
gion'alcuna; ma udiua, che non mi contentauano à pieno il senso. Vi sono anche dell'altre osseruanze Messere (gli risposi)
nelle uostre Compositioni; lequali hauete imparato
co 'l mezo del senso; come quello, che è il principio del nostro sapere, che non sono di poca importanza; delle quali, se
ben non ne sapete dire la ragione, non mancano quelli, che
la dicono per uoi. Ma per ritornar al nostro proposito, dico; che la cagione, che mosse i
Pitagorici, & Pitagora prima à dir, che tutti gl'Interualli, i quali erano minori dell'Diatessaron fussero dissonanti, è questa;
secondo 'l mio giudicio, & come ui hò dichiarato; perche non hebbero cognitione de i Gradi & proprij luoghi delle Consonanze,
& in qual
maniera si hauessero à disporre & collocare in ordine. Onde hauendo essi conosciuto, se
pur lo conobbero, che quelle consonanze, che sono minori della Diatessaron; come so
no il Ditono & lo Semiditono, à noi tanto grate; poste nella parte graue, generauano più
tosto dissonanza, che consonanza; per non essere stato conosciuto da loro tale differ
enza;
cioè, che poste ne i loro proprij & naturali luoghi, generano grato suono all'udito; & per
il contrario ingrato, quando fuori de i loro naturali luoghi sono collocate; però giudicarono, che per ogni modo fussero dissonanti.
Adunque dal non conoscere i gradi, & l'ordine,
& i proprij luoghi delle consonanze nacque, che gli Antichi negarono quelli Interualli,
che sono minori della Diatessaron, esser consonanti. Non li bastaua almeno sapere; disse
il S. Desiderio; che posti nell'acuto, & à i loro luoghi proprij erano & sono c
onsonanti? Già
ho detto (soggiunsi) che n
on c
onsiderarono questo, anzi mai lo sepero; essendo che se l'hauessero saputo, n
on è dubio, che l
'haurebbono posto in uso, ouero ne haurebbono alm
en lasciato qualche memoria di loro; com'h
anno fatto alcuni de i nostri Moderni, i quali se ben n
on
h
anno dimostrato, che 'l Ditono c
ontenuto dalla proportione Sesquiquarta, & lo Semiditono contenuto dalla Sesquiquinta, fussero conson
anti, hanno almeno con gr
ande dubitatio
ne affermato, che 'l Ditono c
omposto di due Tuoni sesquiottaui, & il Semiditono, che con
tiene un Tuono sesquiottauo, & un Semitono minore, c
onsiderati dalla parte delle loro proportioni, erano dissonanti; appoggiati à questa opinione; che d'altre Proportioni, che
dalle Molteplici & dalle Superparticolari in fuori, le C
onsonanze non potessero hauer le loro
forme, & che considerate in atto ne i Suoni, ò nelle Voci, fussero conson
anti;
Vide cap.
12. lib. 4.
supple. perciò che
quando uoleuano, tali le udiuano. Ma s'ing
annauano; perche quando le udiuano c
onsonanti; erano c
ontenute da proportioni Superparticolari, & n
on da Superparti
enti, come credeuano; & poteua nascer l'errore di costoro, dal non hauer'hauuto suffici
enti principij; nelle lor
dimostrationi, & poca isperienza delle cose della Musica; percioche non era basteuole il
dir solamente, che le Consonanze erano quelle, le quali haueano la forma loro dal genere Molteplice, ò Superparticolare, contenute
tra le parti del numero Quaternario; ma bi
sognaua più tosto dire, che erano quelle, le quali haueano le forme loro da quelle proportioni, che si trouano in atto tra
le parti del Senario. Adunque; disse M. Francesco; n
on poteuano costoro dimostrar le cose della Musica perfettam
ente, n
on hau
endo essi cotali principij;
ess
endo che da loro si hà la cognitione (come molte fiate
ho vdito dire) de tutte le cose, che
si trattano in qual si uoglia sci
enza. Dite troppo il uero; risposi; onde bisogna sapere, ch'à uoler dimostrar perfettamente le cose della Musica, bisogna à
quei Principij, co 'l mezo de i
quali altri hanno dimostrato, aggiungerui quelle, cose, che ne c
onducono al fine di quello,
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che cerchiamo. Et ricordarsi quel c'hò detto nelle Istitutioni;
1. Part. c.
13. et. 3.
par. cap. 3. che le Consonanze, ò In
terualli musicali non nascono primieramente; com'hanno tenuto alcuni; per l'aggiuntione de molti Interualli minori posti insieme;
ma per la Diuisione della Diapason, la quale
chiamai Madre & Fonte d'ogni altra consonanza & interuallo. Questo credo, ch'ogn'un
de noi l'habbia in memoria; disse M. Adriano; ma parmi, che al tutto non sia mal detto,
che la Diapason si componga de tre Tuoni maggiori, de due minori, & de due maggiori
Semituoni; percioche si uede pur che contiene in se ueramente, & camina per tali Interualli. Vdite Messere; risposi; nella
Musica hauete da considerar due cose; prima l'Interuallo, il quale da Greci è detto Διάστημα; & gli ordini, ò scale, cosi
detti d'alcuni moderni, ò
pur Costitutioni, che nominar le uogliamo; chiamate separatamente, & ciascheduna da
per se Σύστημα; però dico, che se parlate di questa ultima; n
on è inconueniente dire, ch'una
Diapente sia composta de due Tuoni maggiori, d'un minore, & d'un maggior Semituo
no, come da due parti: Ma parlando della prima, questo non si uerifica; percioche nascono dalla diuisione della Diapason;
& non è senza proposito il dire, che fatto molte parti
d'una Diapason, de quelle istesse si possa reintegrare, & comporre un'ordine, ilquale con
tenga quanti Tuoni & Semituoni possa accascare in quella compositione, secondo la qualità dell'ordine, che uolete comporre;
come sarebbe dire; comporre una Diapason, nel
la quale entrino gli Interualli nominati di sopra, & altri simili. Et à questo modo non è
errore à dire, ch'una Consonanza; cioè, uno de questi ordini sia composto. Ma si ben
sarebbe, quando si dicesse, ch' un'Interuallo de i primi fusse composto. Voi dite bene soggiunse M. Adriano; ma di gratia
fatemi un piacere, & à tutti gli altri, che sono qui adu
nati & si dilettano della Musica; ragionateci un poco di queste cose; acciò sappiamo an
che noi ragionarne, quando farà dibisogno, qualche cosa; perche io desidero grande
m
ente uedere un giorno le cose della Musica dimostrate, come star debbono. Et se uoi uoleste pigliar questa impresa, ci fareste
cosa grata; percioche credo, che n
on sia alcun de noi,
che n
on l'hauesse in piacere, & n
on ne hauesse da hauer obligo. Cosi è ueramente; rispose il
S. Desiderio; & io in particolare lo desidero molto; percioche da queste imparerò la uia,
che tiene il Musico, nel dimostrar le sue c
onclusioni, & uedrò la differenza, ch'è tra le dimostrationi, che fà il Musico, le quali n
on hò mai c
ompitamente ueduto; & quelle che fà l'Arithmetico & il Geometra; hau
endo io queste due ultime molte fiate ueduto porre in atto. Si
gnor; risposi io; n
on bisogna in queste cose hauer fretta; ma bisogno è di andare adagio. Et
ui prometto, che ui andrebbe più tempo di quel, che u'imaginate, quand'io uolessi tuor l'
impresa di ragionar, come si debbe, le cose della Musica; percioche bisognerebbe prima
dichiarare alcune cose à quelli, che non hanno ueduto, ò letto, che concorrono nel
la Dimostratione; uolendoui di questa materia ragionar con la Dimostratione in mano;
& bisognerebbe oltra di questo dichiarar quello, che sia Dimostratione, & di che si c
ompone, & molt'altre cose, lequali portarebbono seco molto tempo. Et bisognarebbe, che u'i
maginaste d'hauere più d'uno ragionamento; essendo che nella Musica l'una cosa è
concatenata con l'altra, come sono gli annelli, che si trouano congiunti insieme in
una catena. Rispose allora M. Adriano, uoi mi accrescete la uoglia, dicendo coteste cose;
on d'io ui prego à pigliar uol
ontieri questa impresa; perche mi sarà un grande solleuam
ento
del mio male. Et ui giuro, che s'io fusse più giouane di quel, ch'io non sono; uorrei di nuouo diuentar Discepolo, & dar'opera
per si fatta maniera all'intender la ragione delle cose
della Musica; che non uorrei, ch'alcun mi dimandasse cosa alcuna, che io non lo potesse satisfare. Questo à me sarebbe etiandio
ueramente oltra modo grato; disse M. Francesco;
acciò mentre stò in Vinegia, acquistassi qualche cosa da portar meco à Ferrara; onde ui
essorto & prego M. Gioseffo à pigliar questo carico. Ma ui dico hora Messere, che ui doureste contentar d'esser il primo de
nostri tempi nelle cose della prattica, laquale hauete an
co non senza qualche cognitione della Theorica; essendoui sempre dilettato di pratticar
c
on huomini dotti in questa professione. Et se ben n
on sete in tutto della Theorica colorito,
almen sete molto
ben tinto. Et ui douete allegrar di questo, percioche sono doni, che n
on si
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danno cosi à tutti, & ringratiatene la Diuina bontà. Veramente di continuo la rin
gratio; rispose egli; ma per questo non si estingue la sete, ch'io hò di sapere; perche è co
sa naturale ad ogn'uno;
Metaph. 1.
cap. 1. anzi di giorno in giorno più mi uà crescendo. Ne mi doglio d'es
ser uicino à gli anni della decrepità; ma ben mi doglio, che mi conuerrà morire allora,
ch'io incomincierò ad imparare. Sia però sempre fatta la uolontà del Signore. Hora 'l de
siderio ch'io tengo di sapere, mi fà di nuouo pregarui M. Gioseffo, à far quello, che ui ho
proposto. Non minor sete ho io di cotal cosa soggiunse il S. Desiderio, che 'l nostro M. A
driano habbia; percioche se bene ho ueduto & letto appresso d'alcuni Autori molte cose
dimostrate; tuttauia non son restato à pieno satisfatto. Gli uorrebbe (risposi) un fiume
de i maggiori, non dirò che sia in Italia, ma de i maggiori che sia nel mondo; & non un picciolo riuo, com'è 'l mio, à uolere
estinguere queste seti tanto ardenti; però ui uoglio dire;
che se tanti, i quali hanno scritto, & hanno trattato queste cose auanti di me, non ui hanno potuto cauar questa sete, che
debbo sperare io? Ma perche s
on molto tenuto à M. Adriano; & gli hò quell'obligo, come se mi fusse padre; & una certa honestà n
on sopporta, ch'io ricusi questo carico; per satisfare à questa honorara & uirtuosa compagnia; però non uo
glio restar, di far quello ch'io potrò con tutte le mie forze; perche se bene da me non ha
ueste quel tutto, che desiderate; uedrete almen, che la mia uolontà è pronta nel seruir
ui. Et prego Iddio, che questa fiata io sia & Musico & Medico insieme, il che mi sarà di
gran contento l'hauer fatto in un solo colpo due operationi; cioè, dato 'l cibo conue
niente all'Intelletto de chi m'ascolta; & leuato 'l male à quelli, c'hanno bisogno di sanità.
Nel nome del Signore adunque uoglio pigliar questo carico uolontieri; E' ben uero, ch'
io non mi uoglio obligar à dimostrarui & risoluerui tutte quelle difficoltà, che possono accascar nella Musica; essendo che
se 'l si uolesse dimostrare ogni cosa; oltra la difficoltà & la
lunghezza del tempo sarebbe se non impossibile, almeno difficile il raccoglierle tutte d'
una in una insieme, & dimostrarle per ordine. A questa legge (rispose M. Adriano) non
ui uogliamo sottoporre; essendoche troppo ben sappiamo, che quest'è un'impossibile. Soggiunse allora il Sig. Desiderio; Date
pur principio da qual capo ui piace; perche quando ci
nascerà alc
un dubio, ue lo andaremo propon
endo; & uoi ce lo risoluerete, uol
endo. Cosi farò
ad
unque soggiunsi; Ma auertite,
Nota per
i maligni. che quand'alle fiate ui proponerò alcuna cosa, che per in
anzi l'habbiate udita, letta, ò conosciuta in alcun Autore, di n
on m'accusar di furto; come fanno alcuni poco giudiciosi, & poco prudenti; accusando questo & quello Scrittore; ne an
che dir, che non faceua dibisogno di commemorarla; percioche uolendoui dimostrar per
ordine le cose della Musica; non posso far, che n
on vi discorra alcune cose necessarie à tali
ragionamenti; massimamente conoscendo la maggior parte de uoi non hauer dato opera
allo studio dell'Arti, & non saper quello, ch'importi questo nome Dimostratione, & quelle parti ch'entrano in essa. Questo
disse M. Francesco; mi piace sommamente; perche se
ben può esser, ch'io habbia udito alle fiate quel che sia Dimostratione, da i colloquij del
Maggio & del Pigna nostri, grand'huomini nelle lettere; hauuti spesse fiate co 'l nostro
Sig. Duca, & con altre persone segnalate; tuttauia, per non esser mia professione, non me
ne posso cosi à pieno ricordare. La onde facendo quel, che detto hauete, non potrà esser'à
noi se non di grande utilità. Lo douete far per ogni modo; disse M. Adriano; perche ancora io non mi ricordo troppo ben queste
cose, se bene essendo giouane le udì in Pariggi,
quando mi diedi allo studio delle Leggi imperiali. Ancora io l'haurò in grande piace
re disse M. Claudio: perche di queste cose, credo saperne poche: quantunque io ne hab
bia udito molte ne i ragionamenti de quelli Huomini eccell
enti, co i quali praticaua di c
ontinuo; onde mi verrò à ricordar qualche cosa, & la terrò ben'in memoria. Poi che cosi
ui contentate, cosi farò; risposi; onde parlerò hora con uoi Sig. Desiderio; il quale, co
nosco dal ragionamento poco fà hauuto con noi, esser molto istrutto. Auertisca però ogn'
uno, che in questo Ragionamento io non posso far, che io non faccia quello, che etiandio
h
anno fatto la maggior parte de quelli, c'h
anno inanzi à me scritto di queste cose & ragionato; cioè, ch'io non piglia una parte de quei mezi, che mi seruono à uenire
all'atto dimostra
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tiuo; essendoche senza loro non potrei far cosa buona. E' ben uero, ch'io uene aggi
ungerò
alquanti altri, per condur questa mia impresa al desiderato fine; conciosiache quelli, i
quali sono stati proposti da altri, non sono à bastanza; & con questi & quelli insieme uerrò à
render ragione di quello, che io ui son per dire, & mi sarà da uoi proposto. I biasi
matori de quelli, che hanno scritto alcune cose nelle scienze, & hanno pigliato i princi
pij da quelli, che hanno scritto per inanzi; rispose il Signor Desiderio; hanno poco giu
dicio. Chi non sà, che uolendo scriuere, ò parlar di alcun'Arte, ò Scienza, bisogna di
due cose farne una; ò ritrouar nuoui principii; oueramente usar quelli, ch'altri professo
ri di quell'Arte, ò Scienza hanno usato? Però Platone, Aristotele, & altri eccellen
tissimi Filosofi, molte cose s'hanno fatto proprie; quantunque fussero inuentioni d'altri;
come chiaramente ne i Scritti loro si comprende. Ma più si scorge ne i scritti d'Euclide,
che in altro autore; poi che siamo à ragionar della Dimostratione; il quale pose insieme
tante & tante Dimostrationi fatte da altri, facendosele sue, & anco i Principii, col bel
l'ordine, che le diede; come racconta Proclo, ne i Commentari
Lib. 2. c. 4.i fatti sopra il Lib.1 de
gli Elementi d'esso Euclide, ch'à molti è di gran merauiglia, ch'un tant'huomo lo faces-
se; quasi che l'età d'un'huomo fusse à bastanza di ritrouar, porre insieme, & dar perfet
tione à tante cose. Ma lasciamo questo da un canto & diciamo, che se ciò si permette &
concede à tanti & tali huomini; ne à loro si attribuisce uitio alcuno; per qual cagione
non ui sarà concesso quest'istesso anco à uoi? poi ch'io non uedo, ch'essi habbiano hauu
to dal mondo maggior priuilegio di quello, che hauete uoi. Questo è il douere; disse
M. Francesco: Ma lasciamo, per uostra fè, questo da un canto, & attendiamo à quel,
che importa à noi, senza perder tanto tempo. Volendo adunque (soggiunsi io) hauer piena notitia di quello, che ui hò da dire;
fa dibisogno che uoi sapiate; Ch'essendo ogni
Scienza posta nell'intelletto; tutte le cose si rendono intelligibili in atto, secondo che ad
alcun modo si considerano lontane dalla materia. Onde secondo che diuersamente han
no (dirò cosi) proportione con essa lei, la lor consideratione appartiene à diuerse Scienze; lequali acquistar non si possono,
se non con l'aiuto della Dimostratione; il me-lb>
zo della quale, è la Definitione. Onde essendo la Definitione quella, che ci fà uenire in
cognitione della cosa;
percioche esprime le cose essentiali di essa; è necessario, che si come elle differenti sono tra loro, che anco siano differenti le
Definitioni, ò mezi, che le
vogliamo dire. La onde nasce la diuersità delle Scienze dalla uarietà delle cose in mol
te maniere considerate; lequali in tre modi considerar si possono;
Vide ca. 7.
& 12. lib.
1. Supple. Imperoche primiera
mente ne sono alcune, le quali hanno il loro essere, che dipende dalla Materia, ne sen
za essa definire si possono; Secondariamente ne sono alcune, le quali non possono star
da essa materia lontane, & nelle definitioni loro non si pone cotal materia; Oltra di que
sto alcun'altre ue ne sono, che non solamente da tal materia non dependono secondo 'l
loro essere, ma ne anco secondo la ragione ò definitione; & queste sono quelle, che ca
dono sotto quella Sci
enza diuina, che noi chiamiamo Metafisica; percioche quelle cose, le
quali considera; ouer che mai si trouano esser nella materia; com'è Iddio benedetto, &
l'altre sostanze separate; ouer perche non sono uniuersalmente in essa; come è la
Sostanza, la Potenza, & l'Atto, & quell'anco che i filosofi chiamano Ente; il per
che nella loro definitione; per non esser cose corporali; non si pone la materia. Ma le
prime; che sono cose naturali, & sono considerate nella Scienza naturale, la quale chia
mano Fisica, & hanno l'esser loro nella materia sensibile, & sono sottoposte al moui
mento, si definiscono per la materia nominata; onde quando definiamo quel che sia Huo
mo, diciamo; che è Animal rationale & mortale; & l'Animale, senz'alcun dubio, è co
sa naturale, & hà l'esser suo tra le cose della natura. L'altre poi sono tutte cose appar
tenenti alle scienze Mathematiche, come sono punti, linee, superficie, corpi, & tutte
quelle cose insieme, che appartengono alla Moltitudine & alla Grandezza; onde nella loro definitione non si pone la materia
sensibile; se bene non possono star senza lei, essen
do che non si dice, che 'l Triangolo sia figura di legno, ò di pietra, ò di ferro, ò di qua
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lunque altro metallo, ò materia, che si uoglia; ma si dice, ch'ello è figura, la quale hà
in se tre angoli equali à due retti, quantunque il Triangolo habbia l'esser suo nella mate
ria; come discorrendo potrete conoscere. Questo discorso tanto più mi è piaciuto; dis
se M. Adriano; quanto più uedo quasi una cosa noua; che ne i ragionamenti di Musica,
si parla anco delle cose appartenenti alla Filosofia. Non sapete messere, soggiunsi io, che
la Musica, per esser Scienza parte mathematica, & parte naturale; com'hauete potu
to uedere nelle Istitutioni;
1. Par. cap.
20. è sottoposta alla Filosofia? Io per me lo sò per certo; ma mol
to mi dilettano (rispose egli) queste cose; tanto più, quando le uedo tirate à qualche bel
proposito. Sappiate dissi io, che tutto questo discorso si è fatto, accioche essendo la Musica, come già dimostrai nelle sudette
Istitutioni,
1. Par. cap.
18. et 29. scienza di Relatione; & hauendo per soggetto il Numero sonoro; ò Corpo sonoro proportionato; come forse dimostrerò un'al
tra fiata;
Vide c. 14.
lib. 8. Supple. non senza proposito uiene ad esser parte Mathematica, & parte Naturale; es
sendoche considerata nel primo stato; già che da i numeri dipende il suo essere; è con
numerata tra le cose già dette, poste nel terzo luogo; ma considerata al secondo modo,
hauendo i Suoni l'esser loro tra cose naturali, è posta tra quelle cose, che posseggono il
Secondo. Però credo, che ui ricordate quel, ch'io chiamo Materia; & quello ch'io nomino Forma delle consonanze; onde non starò
à replicarlo.
Vide cap.
primae partis Instit. Onde hauete à sapere; che
se ben co 'l mezo delle Quantità habbiamo la cognition uera delle cose della Musica;
non essendo ella semplice mathematica; nella definitione della Consonanza, & di qualunque altro Interuallo, i Musici sogliono
alle fiate porre la materia; come habbiamo
potu
to uedere in molte definitioni, nelle quali si pongono i Suoni, ò le Voci, che sono
la Materia delle consonanze, & d'ogn'altro Interuallo; essendoche i Musici contempla
no tali Interualli in atto, i quali non sono senza materia; il che non fanno gli Arithme
tici, ne anco i Geometri; percioche i primi con templano il Numero; & i secondi le
Quantità misurabili, in quanto sono lontane da essa. Per questo adunque; soggiunse il
S. Desiderio; alcuni han detto, che la Consonanza è distanza di suono graue & di acuto.
E' cosi; dissi io; ma sono stati etiandio alcuni altri, c'hanno detto la Consonanza esser
Aria formato; però auertite, che nell'esplicar quello, che siano le cose (io parlo con
quelli, che non lo sanno) usiamo due sorti di Dichiaratione; La prima è detta Defini
tione, & è quella, che esplica la cosa per le cose essentiali; & la Seconda è chiamata De
scrittione, & è quella, che non dice la cosa per gli essentiali; ma per i suoi accidenti. La
prima è, quando noi definiamo l'Huomo, & diciamo, che è Animal rationale & mor
tale; che sono cose essentiali dell'Huomo. La seconda è quella, con la quale; uolendo
dar'ad intendere ad alcuno quello, che sia Huomo; non sapendo, ò non uolendo esprimer le cose sue essentiali, diciamo; ch'ello
è Animale politico, di statura dritto, & altre
cose simili, le quali non esplicano la natura dell'Huomo. E' ben uero, che molte fia
te si prende l'una per l'altra; percioche tallora, si piglia la Definitione in luogo della De
scrittione; & alle uolte questa in luogo di quella; quanto alla uoce; & si chiama senz'al
cuna differenza Definitione; ancora che quanto all'esser della cosa sia altramente. Qual
di queste due si pone nella Dimostratione? disse allora M. Adriano. La prima (risposi) come uederete. Dichiaratemi un dubio,
soggiunse M. Francesco, & poi seguitate. Se d'una
cosa sola (come molte fiate hò udito dire) gli è solamente una definitione; da che uiene,
che alle fiate non solo se ne ritroua una; ma anco più? A questo, risposi subito, Bel du
bio ueramente proponete M. Francesco; però auertite, che nasce da questo; che non so
no propriamente Definitioni, ma Descrittioni; il perche se ben'alcuna cosa non si può
definir più d'una uolta; si può nondimeno molte fiate descriuere; percioche porta seco
molti accidenti. La onde tale proposta non è uera in questo caso, ma si bene nelle Definitioni perfette; essendoche se fusse
altramente, sarebbe falsa. Soggiunse allora M. Clau
dio, dopo l'hauer per un poco di tempo tacciuto; Da che uiene adunque, che nel
Cap.
12. della Seconda parte dell'Istitutioni, hauete posto due definitioni della Consonan
za? Alquale risposi. Mi piace grandemente, che 'l uostro dubitare torni al proposito di
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quello, che io uolea dire. Però notate, che la Definitione si troua esser di tre sorti; La
prima si chiama Materiale, & è quella, che contiene la materia, la quale entra nella co
sa definita; come s'io uolessi definire l'Huomo, & dir quel che ello fusse, direi, ch'è co
sa composta di carne, d'ossa, de nerui & d'altre cose simili, ch'entrano nella sua mate
riale compositione; La Seconda si chiama Formale; & è quella, che contien la forma
della cosa, che si definisce; come s'io dicesse: l'Huomo è animale ratione; conciosia che
la Rationalità è la propria & uera f
orma dell'Huomo; Ma la terza si chiama Finale; & è
quella che contiene, & esplica il fine della cosa; come quando io dicesse; l'Huomo è Animale rationale & mortale, capace della
Beatitudine; di maniera, che la Beatitudine è il
fine dell'Huomo. Disse allora M. Adriano; Si troua alcuna definitione, che contenga
tutte queste tre cose? Ben sapete; risposi. Ditene una adunque; disse egli; & poi segui
tate quel che ui piace. La Definitione soggiunsi, che contiene ciascheduna di queste co
se sarà, quando uorrò definire alcuna cosa; come sarebbe dire la Consonanza, & porrò
nella sua definitione i suoni, la Ragione de Numeri, & quel ch'ella può fare; come sa
rebbe dir; Consonanza è ragion de Numeri contenuta da due suoni, ò uoci l'uno graue
& l'altro acuto; la quale soauemente uiene al nostro udito. Stà molto bene, disse
M. Adriano; poi che (com'hauete altre fiate detto) i Suoni, ò le Voci sono la materia,
la Ragione de Numeri la forma, & lo Soauemente uenire all'Vdito è il fine della Con
sonanza. Allora il S. Desiderio, desideroso di saper più oltra, soggiunse; Diteci per uo
stra fe; questa Consonanza ha ella altro fine? Et io, per satisfarlo, dissi; Hà per certo; &
ue lo potrete ricordar da quello, c'hauete letto; com'è il mutare il senso, nella maniera,
Inst. 2. par.
c. 8. & 12.
che hà l'Harmonia di dilettare, & anco d'indurre in noi passioni diuerse. Cosi è in fat
to rispose egli. Onde M. Francesco; Io credo che saria bene, disse che hormai passaste
piu oltra; perch'io penso, che tutte queste cose s'intendino bene. Sarà bene; soggiun
se M. Claudio; perche se l'occorrerà alcuna cosa difficile, ue la andaremo dimandando.
Allora il S. Desiderio uoltato à me, disse; Ne date forse questa licenza M. Gioseffo? Per
qual cagione uolete, che io non ue la dia? risposi. Io son qui per satisfarui; onde facen
dolo mi farete sommo piacere. Hor sù adunque, per non por tempo di mezo dico; ch'
essendo 'l Soggetto della Musica il Numero sonoro, ouero il Corpo sonoro proportiona
to, & non potendosi hauer alcuna cognitione uera della quantità de i suoni, se non co 'l
mezo de i Corpi sonori, che sono le chorde, le quali sono quantità, che si misurano, ne
potendosi hauer Scienz'alcuna de gli Interualli, se non per uia della misura di essi corpi;
cioè, dalla misura di due di essi, ò ueramente d'un'almeno diuiso in molte parti; è neces
sario, che tra loro intrauenga una certa proportione di suono graue & d'acuto. La onde
per la comparatione della quantità della chorda, che dà il suono graue, con quella che
rende il suono acuto, diciamo, che la Musica è sottoposta alla Quantità relata; mediante
la quale potiamo con diuersi mezi
dimostrar tutte quelle cose, che sono dimostrabili
nella Musica. Ma per hauer' cognitione perfetta de cotali cose; fà dibisogno ricorrere à
quell'Istrumento, il quale da ogni Scienza è adoperato, che si chiama Dimostratione;
1. Post. capit. 2.
la quale è quella, che ne fà ueramente sapere. E' ben uero, che non tutte le Scienze usa
no gli istessi mezi; percioche essendo Quattro le cagioni; come nelle Istitutioni dichia
rai;
1. Par. cap.
41. non tutti dimostrano per tutte quattro; conciosiache la Metafisica dimostra solamente per le cagioni formale & finale, &
anco per la efficiente. Il Naturale dimostra per
ogni cagione; ma il Mathematico (lasciando qualch'altra opinione da un canto) dimo
stra solamente per la cagione formale. A questo disse
M. Adriano: Per le cagioni forma
li adunque hauerete à dimostrarci le cose della musica. Et io à lui; Cosi sarà, in quanto
Mathematica; però quando s'hauesse à dimostrar come naturale; essendo la Musica collocata tra questi due generi, si procedebbe
altramente. Ma inanzi che passiamo à dimo
strar cosa alcuna sarà ben fatto; per alcuni de uoi, che non sete cosi bene essercitati ne i
studii delle lettere; d'andar ricordando (com'hò detto ancora) quel che sia Dimostra
tione, & mostrar le sue conditioni, & come debbono esser le sue premesse, ò propor
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tioni, di che ella si compone. Sarà ben fatto; disse il Signor Desiderio; per non star poi
à dichiararle fuori di tempo. Questo apunto ui uolea dire; soggiunse M. Claudio; quan
tunque ne habbia un poco di prattica; perche molte fiate io ne hò (come hò detto anco)
udito ragionare. Veramente è necessaria la cognitione di queste cose, disse M. Adriano;
percioche non le intendendo, non s'haurebbe quel spasso & quella dilettatione; ne si
cauerebbe quella utilità, che bisognerebbe. Ma credo, che mi ricorderò il tutto quan
do l'andarete commemorando. Vdito questo il S. Desiderio, le disse. Voi sete stato in Pa
riggi M. Adriano; per quel c'hauete detto. Alquale rispose M. Adriano; Fui, & inco
minciai à studiare; ma Iddio ha uoluto, ch'io insegni Musica alla fine. Allora uoltatomi
uerso lui, dissi: Messer Domenedio molto ben sapea, che 'l mondo hauea dibisogno d'un
uostro pari, però ci diede uoi, à fine che haueste ad illuminar quelli, che si dilettano di
quest'Arte cosi nobile, & dirò anco di questa Scienza; percioche se non foste stato uoi,
che mi hauete aiutato nella Prattica, non mi sarei posto à ueder cosi intrinsecamente,
com'io hò fatto, & cosi minutamente le cose della Musica; ma mi sarei riportato, come
han fatto molti, al giudicio d'altri; & mi sarei attenuto à quel c'hauessi ritrouato scritto
d'altri Scrittori, credendoli & persuadendomi, cosi fusse, come hanno scritto. Pe
rò fù ben fatto, che lasciaste lo studio delle Leggi, & attendesti alla Musica; essendoche
in questa tenete il primo luogo, & Iddio lo sà; se ben non sete senza giudicio: s'in quel
la professione hauesti tenuto il terzo. Cosi hà piaciuto à Dio; rispose egli; & me ne con
tento. Disse allora M. Francesco; Ve ne potete contentar Messere; ma lasciamo da un
canto queste cose; perche 'l tempo scorre, & ancora non si è incominciato à ragionar di
quello, ch'è stato proposto. Sappiate adunque (io seguitai) acciò continui quello ch'in
cominciato hauea, che la Dimostratione è proprio come un'Istrumento, che ci conduce
al Sapere, & all'acquisto della Scienza, & questo è il suo uero fine, al quale tendiamo. Ma
auertite, che qui per il Sapere n
on intendo altro, che il conoscer le cose col mezo delle lor
uere & proprie cagioni; di maniera che manifestamente si c
omprenda, che non possino essere, ne stare possino altramente di quello, che si conoscono. Et questo dico, ch'è il uero Sa
pere, & la uera Scienza. Sappiate però, che il Sapere si ritroua esser di due maniere; Il
primo è detto Sapere per sè, & l'altro Sapere per accidente. Il primo è quello, quando
noi conosciamo la conclusione col mezo delle propositioni, ò premesse, che sono per se.
Riducetemi di gratia (disse M. Francesco) alla memoria quel che intendiate per queste propositioni, ò premesse, che sono per
sè. Lo farò à mano à mano, risposi; ma soggiunse subi
to M. Adriano, Dateci anco un'essempio di quello, che detto hauete. Son contento; ri
sposi; ma non habbiate pressa. Dico, che 'l primo modo è, quando si conosce l'Huomo
esser risibile, col mezo di questa propositione, ò proposta maggiore; quando dico; l'Ani
male rationale è risibile; & col mezo di questa minore, che è; l'Huomo è animal ratio
nale; da questa cauo la conclusione, & dico; Adunque l'Huomo è risibile. Questo adunque è il Sapere per se; soggiunse M. Adriano;
per quello ch'io m'accorgo. Cosi stà la
cosa, soggiunsi. Seguitate adunque il Sapere per accidente, disse egli. Notate a
dunque Messere, risposi, che il Saper per accidente (per dichiararui il secondo modo)
è conoscer la cosa col mezo delle premesse, che sono per accidente. Allora M. Clau
dio, Dateci l'essempio di gratia, soggiunse. Et io à lui; eccolo, come s'io uolessi prouar,
che l'Huomo compone, io direi; Il Musico compone; l'Huomo è Musico; adunque
l'Huomo compone; & questo sarebbe Sapere per accidente; essendo che le premesse & la
conclusione sono per accidente; conciosia che l'esser Musico non è per se nell'Huomo, ma
per accidente; & questo sapere non è uero sapere. Soggiunse M. Adriano; Da quel che
detto hauete adunque; potiamo dire, che 'l primo modo è il uero sapere, ma non il secondo. E' uero, risposi; ma questo primo
modo etiandio è di due sorti; imperoche l'uno si
chiama Saper semplicemente, &l'altro Sapere ad un certo modo. Il primo de questi è sa
per la conclusione col mezo della propria cagione & immediata; & il Secondo è Saper
col mezo d'alcun segno, ò per alcun'effetto, o ueramente per alcuna cagione uniuersa
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le & rimota. Desidero, disse M. Francesco, l'essempio di una & dell'altra maniera. On
de li dichiarai, che Della prima maniera sarà; quando saperemo l'Huomo esser risibile,
perche è rationale; percioche la Rationalità è propria & immediata cagione della Risi
bilità, ò del Ridere, che uogliamo dire: Della seconda; quando saperemo, che la Don
na hà partorito, perche hà il latte; essendoche l'hauere il latte non è segno fermo, che
sempre ne dimostri, che la Donna habbia partorito; massimamente perche si ritro
uano molte Donne hauer il latte, & non per questo hauer partorito. Et non sola
mente si trouano le Donne, ma anco (per dirui cosa forse, che ui parerà incredibile) hò
ueduto de gli huomini, che hanno il latte, & per questo non si può dire, che habbiano
partorito. Soggiunse, ridendo M. Claudio. Questa è ben cosa rara & ridicolosa; ma per
che si è inteso benissimo il tutto, ui preghiamo à seguitare. Dico adunque (soggiunsi) che
la Dimostratione fatta nel primo modo, fà sapere per sè semplicemente, & in uno modo
perfettissimo, ma quella fatta nel secondo, fa sapere per sè ad un certo modo, & molto
imperfettamente; come da gli essempii posti di sopra hauete potuto comprendere. Di
teci adunque, disse M. Adriano, quello che sia questo Sapere. Auertite, diss'io, che io non
ui uoglio definire il Sapere pigliato uniuersalmente, secondo tutti quei modi, ch'io hò
dichiarato di sopra; ma secondo quello, ch'io nomino Sapere per sè semplicemente, &
con modo perfettissmo; delquale questa sarà la sua definitione. Il Sapere è conoscer la
cosa per la sua cagione, per la quale è, & non può essere in alcun'altra maniera. Et nota
te, ch'io hò detto, che 'l Sapere è conoscer la cosa per la sua cagione; accioche da questo
comprendiate, che non intendo il Sapere dall'effetto; anzi uoglio che sappiate, ch'io
uengo à distinguer quello da questo. Soggiunsi poi: Per la quale è; facendoui auertiti,
che tal cagione è propria non commune à tal cosa & ad un'altra; accioche da questo pos
siate conoscere, quanto sia differente il Sapere, ch'io intendo di sopra, da quello, che
si uiene ad acquistare dalla cagione uniuersale & rimota. Imperoche quando noi sap
piamo, che una pietra, ouer un legno secco non respira, perche non hà anima, tal Sa
pere non nasce dalla cagione propria & propinqua; essendoche si trouano molti animali;
come sono arbori, ostreghe, uermi, mosche, & infiniti altri imperfetti, i quali non respira
no. Ma la propria cagione & propinqua del non respirare è, che non hanno il polmo
ne. Adunque quand'io dico; Et non può esser'in altra maniera; tale aggiungimento
è, accioche conosciate tal cagione essere infallibile & necessaria; & anco accioche co
nosciate 'l Sapere, che s'acquista col mezo de i segni probabili; come quando sappiamo,
che l'Infermo si dè sanare; perche fà la urina chiara, mangia con appetito, dorme soa
uemente, & fà altre cose simili; di maniera che queste attioni s'assimigliano à quelle d'un
sano. Et questo segno alle fiate è molto fallace; percioche spesso intrauiene il contra
rio. Bisogna adunque, disse M. Francesco, che la cagione, col mezo della quale sappia
mo semplicemente alcuna cosa, sia necessaria. Cosi bisogna che sia; risposi; percioche
è il mezo della conclusione. Et perche quello, che si hà da sapere, & la Scienza sono
correlatiui, & l'uno all'altro corrispondenti; è necessario, che si come la cagione del Sapere è necessario, che anco necessario
sia quello, che si hà da sapere, che è la conclusione:
Percioche non potiamo saper semplicemente una conclusione, la quale può accascare,
che è detta Contingente; ma si ben potiamo hauer di essa opinione. Queste cose tutte, ri
spose M. Adriano, fin qui intendiamo benissimo. Passaremo adunque (soggiunsi) al
l'Istrumento dell'Intelletto, al Sapere & all'acquistar la Scienza, & lasciaremo di defi
nire la Dimostratione uniuersalmente presa; come habbiamo lasciato anche da un canto il definire il Sapere uniuersalmente,
& uerremo alla definitione della Dimostratione,
la quale è chiamata da i Filosofi Potissima, & è quella, che cagiona in noi il Sapere so
pra la cosa definita. Aggiungereremo anco, di che, & di quali Premesse si compone:
Et tal Dimostratione i nostri addimandano A' priori; & dimostratione Propter quid,
la quale è differente dalla Dimostratione, che si chiama A' posteriori & Quia, ch'è quella, la quale si piglia da i segni
& dalle cagioni uniuersali, come del secondo modo di Sa
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pere di sopra hò dichiarato. Sono cose (disse M. Francesco) queste, che si lasciano inten
dere; però non ui dia noia il seguitare. Seguitando il mio ragionamento, dissi; Vi porrò
adunque inanzi due definitioni della Dimostratione, l'una sarà della cagione finale, &
l'altra della materiale. Douete adunque auertire; che si come diciamo; uolendo definire la
Casa dal fine, ilquale ci muoue ad edificare; ch'ella è cosa, che ci copre & difende dal freddo, dalla pioggia, dalla neue,
& dal caldo; essendoche à questo fine la edifichiamo; oue
ramente, pigliando la definitione dalla materia, della quale ella si compone, uenimo à
dire; che è cosa composta de pietre, di calzina, de legni & altre cose simili; cosi pren
dendo la Definitione della Dimostratione dal fine, dicemo; che la Dimostratione (come
la dichiara Aristotele nel.
1. de i posteriori) è un Sillogismo scientifico, ouer'è Sillo
gismo della scienza; come à noi torna più commodo à dire, il quale ueramente cagiona,
ò partorisce in noi la Scienza, ouer il Sapere, che di sopra habbiamo definito. Questo intendo benissimo; disse M. Claudio;
ne hò dibisogno d'altra dichiaratione; però segui
tate, che se tutto quello che direte apprenderò cosi facilmente, come ho appreso quello,
che fin'hora detto hauete, le cose passaran bene. La Definitione della Dimostratione,
risposi, che si piglia dalla materia, M. Claudio, si darà in questo modo. La Dimostra
tione è un Sillogismo, che si compone di Premesse uere, prime, immediate, ò sen
za mezo alcuno, & cagioni piu note; & maggiormente prime, & conosciute della con
clusione. Et quantunque tutte queste cose si ricercano; fà dibisogno ancora, che tali
Premesse siano inanzi, ò precedino la conclusione; & siano la sua cagione; di maniera
che dall'una & l'altra di queste due Definitioni potete comprender quello, ch'entra nel
la Dimostratione, & il fine, à che ella sia stata ritrouata. Dopo questo M. Francesco
aggiunse; Veramente che appresso di me la prima definitione è chiara; ma la seconda mi
fà stare alquanto dubioso, per non ricordarmi cosi ben quello, che s'intenda Premesse
uere, prime, immediate, & cagioni più note, & maggiormente prime della conclusio
ne. Però ui prego, che ci dichiarate questi termini, che credo, che qui sia il luogo.
Adunque (dissi io) accioche di queste cose ne habbiate buona cognitione, statemi ad
ascoltare. Io dissi di sopra, che le Premesse debbono esser uere, percioche douendo far
sapere la conclusione di maniera, che sia impossibile, che nasca d'altro luogo, che dal
la cagione contenuta in esse; è sommamente necessario, che tali Premesse siano uere, &
per consequente cagione della Conclusione. In qual maniera cagione della conclusio
ne? disse M. Adriano. Cagione, dissi, non solamente della Consequenza, come ne gli
altri Sillogismi intrauiene per la forma loro, che si richiede ch'auenga, ma cagione del
uero esser della Conclusione; ilche è proprio del Sillogismo dimostratiuo, del quale hora parliamo. Questo s'intende benissimo,
disse M. Claudio. Le premesse (soggiunsi) à questo debbono etiandio esser più note della conclusione, & anco le debbono precedere.
Allora M. Francesco mi fece questa dimanda; Che intendete uoi per questo precedere,
& per più noto? Allaquale risposi. Che non siano tali inquanto à noi, ma in quanto al
la Natura istessa; la notitia della quale non sempre concorre con la nostra. Disse à que
sto M. Francesco. Fate di gratia che meglio u'intendiamo. Notate adunque, dissi; che
rispetto alla Natura habbiamo à dire, che più note siano à lei le cagioni con le quali el
la opera gli effetti, che essi effetti non sono; & consequentemente, che ad essi effetti nel
la sua cognitione uadino auanti le cagioni; si come etiandio nell'atto parimente prece
dono; poi che senza dubitatione alcuna ella produce col mezo loro tutti gli effetti. On
de hauendo rispetto à noi, che non operiamo detti effetti, col mezo del senso, che ce li
mostra; quelli il più delle uolte prima si offeriscono alla nostra cognitione, che non fan
no le cagioni, le quali, discorrendo noi col mezo de tali effetti, conosciamo nell'ulti
mo luogo. Di modo che l'ordine della nostra cognitione, il più delle uolte si troua esser
contrario à quello della Natura; la qual Natura operando da quel che produce, à quel
che segue; simigliantemente per la
intelligenza, ch'ella hà seco, conosce col mezo
dell'ordine detto. Ma noi da quel che seguita, spesse fiate procediamo à quello che uà
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inanzi, per la ragione detta. Rispose à questo M. Claudio. Diremo adunque, ch'ogni
fiata ch'io dico, che le premesse della Dimostratione hanno da esser piu note, che la con
clusione, & preceder quella; che sempre intender debbiamo secondo 'l proceder della
natura. Cosi è in fatto, dissi. Adunque, soggiunse M. Adriano, in cotale Sillogismo se
guitiamo l'ordine della natura, & il suo procedere. Senza dubio alcuno; risposi io; ma
ciò non accasca molte uolte. Per qual cagione? disse M. Francesco. Per la nostra imper
fettione; risposi io; onde nasce, che simigliantemente rare uolte i Filosofi pongono in es
sere questi Sillogismi. Questo intendiamo bene; disse M. Claudio; ma resta che ancora ci
andiate dichiarando quel che s'intende, che le Premesse siano prime, & senz'alcun me
zo. L'esser senza mezo (replicai) s'intendono, quando 'l mezano termine, che si pren
de nella dimostratione è cosi congiunto al maggiore, che si piglia; & al maggiore, che si
hà da concludere; che niun'altra cosa si può ritrouar di mezo; ouer è il mezo tra loro per
grado predicamentale; & ciò potrete comprendere (per dare un'essempio) auenire tra
la Definitione & il Definito; non essendo tra l'Huomo, ch'è definito, & l'Animale di
scorsiuo, ch'è la definitione; alcun mezo, per il quale si possa mostrar, che l'Huomo sia
tale. Non si potendo dimostrar la definitione delle cose. L'essempio c'hauete addutto,
rispose M. Claudio; hà di maniera illustrato questo ragionamento, che sin'hora s'inten
de benissimo quel c'hauete detto; però seguitate il resto. A questo aggiunsi, che le Premesse debbono oltra ciò esser prime;
cioè, debbono esser tali, che non si ritroui in alcu
na Scienza (dirò cosi) più alta proposta & più nota di quelle; & è forza, che si prendino
come note, senz'alcuna proua. Adunque; disse M. Adriano; per tal cagione saranno, ò si
chiameranno Indemostrabili. Sta molto ben Messere; gli risposi; percioche douendo
nascer quello, che si dimostra dalle Premesse precedenti & più note; se le Premesse tutte
s'hauessero s
empre da dimostrare, & anco le Premesse delle Premesse; bisognerebbe, ch'altre più note, & più precedenti, sempre salendo in
infinito; fusse 'l nostro procedere. La onde non si potendo poi arriuar mai à quelle, che per se stesse fussero tali, ne si
potendo trappassir l'infinito; saria forza, fermarsi in alcune di esse, le quali, per dipendere da più alte
premesse, non sarebbono da noi per se stesse conosciute; & per consequente le conclusioni, che da esse nascessero, non potrebbono
rendersi manifeste; da che ne seguirebbe
quello, che molti s'hanno imaginato; che niuna propositione dimostrar si potesse. Do
po questo disse M. Francesco; Questo discorso mi è stato molto utile; percioche m'ha riddotto alla memoria molte cose, le
quali già (per non attender'à questi studii) mi erano
di mente uscite. Et mi souiene, ch io udì spesse fiate dire; che in qualunque Scienza,
auanti che si uenga al discorrere in essa cosa alcuna; si suppongono alcune Propositioni
manifeste, lequali n
on debbeno esser negate d'alcuno, che si vuol essercitare in quella Sci
enza. Vi ricordate molto bene per mia fè; gli risposi; & mi rallegro, che non haurò fati
ca di replicar più cotal cosa; ne meno molt'altre, che concorrono alla Dimostratione,
per causa uostra; delle quali ui conosco insieme con gli altri istrutto; però seguitando do
ue hò lasciato, dirò, che tali Principij alcuni si chiamano Positioni; & sono queste Posi
tioni, ouer Principii di più maniere: Imperoche alcuni sono detti Communi, & alcuni
sono chiamati Proprii. I Proprij sono quelli, che seruono ad una Scienza particolare;
ne bisogna che ui pensiate, che questi siano i Principij istessi d'un'altra; perche sareste in
errore: Ma douete sapere (com'hò anco detto di sopra) che da i Generi diuersi delle cose
scibili, nascono diuerse Scienze. Onde si come la Quantità continua è differente in ge
nere dalla Discreta; cosi è differente l'Arithmetica dalla Geometria. Et si come la Grandezza è differente dal Numero; cosi
sono differenti i principij della Geometria, co i qua
li si dimostrano le sue conclusioni, da quelli dell'Arithmetica. Onde i principij proprii
della Geometria sono (per darui un'essempio) questi; Si può condurre una Linea da un
punto all'altro; Il continuo è diuisibile in infinito, & altri simili. Ma quelli dell'Arithmeti
ca sono; Il Numero è moltitudine ordinata di Vnità, Le parti del numero non si congiungono ad un termine commune. I Numeri
procedono oltra l'Vnità in infinito; & gli altri.
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Et quelli della Musica sono; L'Interuallo è habitudine de spacij del suono graue & del
l'acuto; & altri simili, come presto uederete; & questi si chiamano Principij proprij.
Ma i Communi sono cosi nominati, che non solo in questa, ò in quella Scienza si posso
no supporre; ma in tutte l'altre vniuersalmente; percioche sono tali, che l'Huomo per
natura; inteso che hà la significatione delle parole, che contengono; subito aiutato
dall'Intelletto conosce chiaramente la uerità loro: Come per essempio quando si dice;
che 'l Tutto è maggior della Parte; saputo che si hà il significato di queste due parole Tutto & Parte;
allora si conosce, senz'altro aiuto, di maniera esser uera tal positione;
che chi altramente uolesse far credere, non si darebbe fede alle sue parole; & sarebbe
riputato pazzo. In uano ueramente si affaticherebbe, disse allora M. Claudio; chi uo
lesse persuadermi il contrario. A questo soggiunsi: Questo principio è de
tto Commu
ne; percioche serue in diuerse Scienze, onde nella Geometria il Geometra l'applica al
le quantità misurabili; nella Arithmetica l'Arithmetico l'accommoda alle quantità nu
merabili, & nella Musica il Musico se ne serue & lo addatta à gli Interualli, ouero alle
Quantità ò Corpi sonori. Sono questi Principii communi, ò propositioni, chiamati Dignità; & per la loro eccellente notitia
che tengono, sono supposti per principij notissi
mi, & principali d'ogni Scienza; ma gli altri Principii & altre Proposte sono d'altra na
tura; percioche se ne ritrouano alcune di esse, che se ben non sono naturalmente cono
sciute da Colui, che vuole apprendere alcuna Scienza; nondimeno è forza, ch'egli le
conceda per uere, & non cerchi in tal Scienza di loro altra dimostratione, per non ha
uer quiui elle cosa alcuna più nota, che vi stia sopra. Et queste tali Propositioni sono di
due sorti; l'una è che affirmando, ò negando alcuna cosa, si chiama Definitione, la quale dichiara molti termini necessarii
à quella Scienza; & tali Definitioni si accettano per
uere, senza uerun'altra proua; come trattandosi nell'Astrologia delle Sfere, de i circoli,
& d'altri cosi fatti termini; auanti tutte le cose si suppone, che la natura del Circolo cele
ste consista nella figura circolare, compresa da una sola linea, che hà nel mezo il punto,
dal quale tirrate le linee alla sua circonferenza, tutte sono equali. Il simile si può anche
dire della Sfera; disse il Signor Desiderio; & d'ogni altro termine in cotale Scienza neces
sario. Cosi è, risposi; onde gli Astrologi col mezo de tali definitioni prouano le proprie
tà de i Corpi celesti, che sono ueramente il loro Soggetto. A questo M. Francesco dis
se; Questo istesso si potrebbe anco dir nella Musica de i Corpi sonori, i quali contengo
no l'Interuallo; come sono le Chorde; percioche col diuidere, ò misurare vna linea retta,
posta in luogo di chorda tirrata sopra vn spacio; è mezo molto accommodato al Musi
co, per prouar le conclusioni del suo Soggetto. Voi la intendete benissimo; dissi io, però
passaremo à dir dell'altre sorti de propositioni, che sono Dignità; & saranno, quando in
una Scienza si suppone alcune cose, le quali contengono in se affirmatione, ò negatione;
& si debbono chiamare & stimare propositioni. Et se ben per loro natura manifeste non
sono; si hanno però da supporre nelle Scienze per note, & queste sono di due maniere.
Non mancate, disse M. Claudio, vi prego, di porre gli essempij. Cosi farò; risposi; state
mi pure ad vdire. La prima maniera è quando colui, che hà da imparar quella Scienza;
udendo cotali proposte, à loro assentisce facilmente; non essendo prima per se stesso disposto più ad accettarle per uere,
che à negarle come false. Et per darui un essempio: S
'io di
cesse, che colui, il quale vuole imparare & apprender la Musica, hà da supporre, che tutti
gli Interualli della Diapason sono eguali di proportione; & uoi vd
endo questo lo credeste;
per non hauer prima uoi stessi opinione, che siano più equali, che inequali, queste Po
sitioni si chiamano Suppositioni. Io intendo benissimo, disse M. Adriano, onde potete
seguitare. Il perche seguitai, cosi dicendo; La seconda maniera de queste Positioni sono
quelle, che quando, per il contrario, colui c'ha da imparar la Scienza, vdendo le Po
sitioni, che li sono proposte da credere, assentisce à quelle, perche gli vien detto, che
cosi bisogna fare, ma non perche egli conosca, ò li paia, che sia cosi; hauendo egli uera
mente prima per se stesso piu tosto tenuto 'l contrario. Et per uenire all'essempio; dirò;
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Se à uoi, che desiderate di apprender le cose della Musica, si proponesse; che si hà da
supporre, che l'Vnisono sia quello, che non hà alcun Interuallo, nella qual Positione
forse ui marauigliareste, parendoui strano; se non haueste cognitione di questa Scienza;
c'he si possa ritrouar cosa, che non sia dissonante, & che non habbia interuallo. Soggiun
se à questo M. Adriano; Adunque hauendo inteso il tutto bene, potiamo dire, che tut
te le Positioni, Dignità, Definitioni, Suppositioni, & le Petitioni, ò Dimande ancora,
si hanno da stimare per Principii di quella Scienza, nella quale si pongono. Cosi è ue
ramente; risposi; ma auertite ancora; che se bene alcuna delle nominate Petitioni & Suppositioni in un'altra Scienza dimostrar
si potesse; tuttauia in quella facultà, nella quale è
posta per Principio, non si potrebbe ritrouar modo alcuno di dimostrarla; essendoche uo
lendola dimostrare, bisognerebbe altri principii; di maniera che cotali Suppositioni, &
Petitioni uerrebbono à non esser Principii. Ma pigliandosi per sapute & per note; da
quelle, come da sufficienti premesse, si dimostrano poi le conclusioni, le quali alla det
ta facoltà appartengono. La onde se in alcuna Scienza particolare; come è la Musica,
& l'Astrologia, ò in qualunque altra, alcun uorrà negar qual si uoglia principio; in co
tal Scienza non li sarà concesso disputare; ne sarà atto à modo alcuno d'impararla.
1. Phy. c. 2.
Et Quanto à questa parte non ui uoglio dir'altro; ma credetemi Messere, che hora in
comincia il buono. Lodato sia Iddio adunque, disse egli, & seguitate pure, & dite
quel che uolete, perche siamo apparecchiati ad ascoltarui. Seguitai, inteso questo, in
cotal maniera; Voglio, che sappiate; ch'ogni Proposta, che si propone à dimostrare;
può essere di due sorti; imperoche oueramente ch'ella ci conduce alla Speculatione; ò
ueramente che ci fà operare. Quella, che ci conduce alla speculatione, è detta Θεώρη
μα; ma l'altra è chiamata Πρόβλημα; & questa è dimandata per tal nome; percioche da
lei impariamo il modo di diuidere, comporre, descriuere, disegnare, & formare ogni
qualità di figura superficiale, con tutti quei accidenti, che concorrer possono in molte
Arti; come nella pittura, prospettiua, corographia, cosmographia, geographia, scol
tura, architettura, & altre simili. Oltra di ciò ui uoglio dire, ch'ogni Theorema, ò
Problema, il quale sia compiuto dalle sue parti, debbe hauere in se Sei cose; la prima
è la Proposta, che da Greci è detta Πρότασις; nella quale si contiene il Dato, & il Que
sito; delle quali due cose si compone ogni perfetta Proposta; Et l'officio di questa parte
è d'insegnar quello che si cerca dal Dato. La Seconda è chiamata Espositione, ouer
Esplicatione del Dato; detta Ε῎κθεσις; il cui officio è di riceuere in se il Dato, & appa
recchiarlo alla Questione. Qui disse M. Claudio Merulo, Diteci di gratia quel che
sia ciascheduna di queste due cose. Vi farò capace (risposi) con un'essempio. S'io di
cesse; Si può sopra una chorda data collocare il Tuono alla sua proportione; la chor
da data si chiama ueramente il Dato; & il collocare il Tuono è il Quesito. Io in
tendo benissimo; disse il Merulo; seguitate il uostro parlare, & perdonatemi, s'alle
fiate ui dò disturbo. Anzi mi date piacere; gli risposi; Ma per ritornar al nostro pro
posito, dico; che la Terza parte si nomina Διορισμὸς; cioè, Determinatione del
Quesito; il cui officio è di esporre da parte quello, ch'ello sia. La Quarta è detta Co
struttione, chiamata da i Greci Κατασκευὴ; la quale è quella, che per ritrouare il
Quesito, aggiunge quelle cose, che mancano al Dato. S'aggiunge à queste la Quin
ta, detta Α'πόδεξις; cioè; Dimostratione; la quale scientificamente ci dà il proposito,
col mezo delle cose concesse, & presupposte. Vltimamente ui è la Sesta, detta
Συμπέρασμα; la quale Epilogo, ò Conclusione potiamo dire; che di nuouo si uolta
alla Proposta, confirmando quello, ch'è dimostrato. Dimandò allora M. Adriano; se
si trouano tutte queste cose in ogni Theorema, ò Problema? A cui risposi; Messer
nò; ma in ciascheduno si ritrouano necessariamente la Proposta, la Dimostratione,
& la Conclusione; percioche fà bisogno conoscer primieramente il Quesito; cioè, quello,
che si propone nella questione; & dopoi dimostrarlo c
on i debiti mezi; & dopo dimostrato
concluderlo. Di modo che n
on può mai m
ancare alcuna di queste tre cose. In alcuni luoghi
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l'altre molte uolte s'adoperano, & in molti da un canto si lasciano; come si può uedere
nella
10. del 4. di Euclide; la qual dice; Potiamo constituire il Triangolo de due lati eguali; che habbia all'uno, & l'altro de gli angoli
alla base il doppio de gli altri angoli; doue
mancano la Determinatione, & la Espositione; massimamente quando l'Esplicatione
del Dato è sufficiente, di maniera che non faccia dibisogno altra aggiuntione, per dimostrar quello, che si propone. Ma la
Costruttione spesse fiate non si troua in molti Theo
rema. Et quando nella Proposta non sarà alcun Dato; allora mancherà la Espositione.
Ma la proposta il più delle uolte haurà il Dato & il Quesito, non però sempre: percio
che alle uolte haurà solo il Quesito, il quale fa dibisogno di conoscere, ouero di farlo,
ò ridurlo ad effetto; come già nel detto Problema, ò Proposta si uede, percioche non
si dice; Di qual Dato bisogna costituire il Triangolo de due lati equali, c'habbia l'un
de i lati equali doppio all'altro; ma solamente si propone, che tal Triangolo da farsi,
sia Equicruro. Quando ueramente la Propositione haurà l'uno & l'altro; allora si ritro
ueranno la Determinatione & l'Espositione. Ma quando 'l Dato non ui sar
à; manche
ranno etiandio tutte queste cose; percioche l'Espositione & la Determinatione, sono co
se, ch'appartengono al Dato. Disse à questo il Sig. Desiderio; Veramente che la co
gnitione di queste cose è molto necessaria, à uolere hauer piena notitia della Dimostra
tione; ma forse ch'alcuno de questi Sig. non si contenta ancora; perche uorrà un parti
colare essempio delle Sei cose nominate di sopra. Voi hauete toccato il segno, disse M.
Francesco; questo è quello, che uolea à punto dimandare; però M. Gioseffo non ui sia
noioso il darci ad intendere coteste cose essemplarmente. Io credea, dissi; che il mio
parlar cosi lungo ui douesse rincrescere, ma per quel ch'io uedo, è tuttto al contrario;
hora perche cosi ui piace, statemi ad udire. Sia adunque per fondamento di quello, che
ui son per dire, la
Prima proposta del 1. de gli Elementi d'Euclide; come più facile, più
breue, & come quella, che contiene tutte queste Sei cose; la qual dice; Possiamo sopra
una data linea retta terminata costituire un Triangolo equilatero. Tutta questa diceria
si chiama Proposta, & si diuide in due parti; cioè, nel Dato, ch'è la Linea retta termi
nata; & nel Quesito ch'è il Triangolo equilatero. Hora s'io ui uoglio dimostrar questa
cosa, incomincierò prima dall'Espositione del Dato, & dirò; Sia la data linea finita ab;
dopoi uerrò alla espositione del Qesito, dicendo, Fa dibisogno sopra di essa ab. linea
retta costituire il Triangolo equilatero. Fatto questo uenirò alla costruttione, & di
rò; Sopra 'l centro a, secondo la quantità della linea ab, discriuerò il circolo bgc. Si
migliantemente sopra il centro b, secondo la quantità della istessa linea ab, descriue
rò il circolo agd. Il che fatto, tirerò le linee ag. & gb. Hora pronuncio la Costruttio
ne, dicendo; Dico; che 'l Triangolo agb. è equilatero. Vengo (fatto questo) alla Di
mostratione, & dico; In ogni circolo, le linee tirate dritte dal centro alla circonferenza
sono equali; la figura bgc. è circolo, & il suo centro è a; adunque la ag. è equale alla ab.
Et per prouar l'una & l'altra delle propositioni assonte; & mostrar che 'l Sillogismo non
è difettiuo nella materia, perche quanto alla forma e della Prima figura, & in essa non
ui è difetto alcuno; dico, che la maggior proposta è la Definitione del circolo, & la mi
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nore è nota dalla costruttione. Dico ancora; In ogni circolo le linee dritte, che uanno
dal centro alla circonferenza, sono equali; la figura agd. è circolo, & il suo centro è b;
adunque la linea gb. è equale alla ba. Et per prouar questo secondo Sillogismo, faccio
quello, ch'io feci nel primo, & dico, che la maggiore è la definitione del circolo, con
tenuta ne i principii; & la minore è manifesta dalla Costruttione. Vengo hora ad uno
terzo Sillogismo & dico; Quelle cose, che sono equali ad un'altra, tra loro sono anco
equali; ciascuna delle linee rette ag, & gb, si troua equale alla linea retta ab; adun
que la retta ag. è equale alla retta gb. Et prouo questo sillogismo, dicendo; La mag
gior propositione è Commun parere; & la parte prima della Minore è la conclusio
ne del primo sillogismo; & quella che segue, è la conclusione del secondo. Ho
ra uengo al quarto sillogismo, & dico; Ciascun Triangolo contenuto da tre linee
rette equali, è Triangolo equilatero; Il Triangolo agb. è contenuto da tre linee
rette equali; adunque il Triangolo agb. è equilatero. La proua di questo Sillo
gismo è tale; la maggior proposta è la definitione del Triangolo; & la minor è la conclu
sione del terzo sillogismo; & cosi è finita tutta la dimostratione. Onde fatto questo aggiungo la Conclusione, & dico, il
Triangolo agb. è equilatero, & posto sopra la data linea
ab; Adunque sopra la data linea retta terminata è costituito il Triangolo equilatero;
come bisognaua fare. Et cosi è compito il tutto; come potete uedere. Vi hò uoluto far
questo cosi lungo discorso inanzi ch'io ui ueng'à dimostrar le cose della Musica, à questo
fine, per non hauer da replicarui in ogni dimostratione più cosa alcuna; però tenete à
memoria, quello che fin qui u'hò detto. Ho inteso, disse il Viola; & molto bene consi
derato 'l tutto di maniera, che non haurò più cagione di farui replicar sopra queste cose.
Voltatosi allora M. Adriano al Sig. Desiderio, disse; Vedete di gratia quanto bell'ordi
ne si tiene nel dimostrare; & quanto sensatamente si capisce ogni cosa; il qual gli rispo
se; Questa è la natura delle Scienze, che dimostrano; che fatta la dimostratione d'una
cosa; tanto ne intende
'l Maestro, quanto 'l Discepolo; & tanto 'l Discepolo, quanto 'l
Maestro. Cosi è dissi io, & si potrebbe ueramente dire ancora molte cose; ma perche
comprendo, che sete molto bene istrutti di quelle, che fin'hora hò ragionato; però pre
suppono (essendo queste le più difficili, & più necessarie da sapere) che l'altre ui saran
no facili, quando ue le porrò inanzi; per essere ancora cosa di poca importanza. Onde
passaremo più oltra, & uerremo al nostro principale intendimento; percioche queste
cose, che fin'hora ui hò discorso, non sono quelle, che ui era per dire; ma un pre
paramento à quei ragionamenti, che seguiteranno. Disse allora il Sig. Desiderio; E' stato molto utile ueramente M. Gioseffo
& molto necessario questo discorso, c'hauete fat
to, percioche non attendendo questi nostri amici cari à queste cose; ancora che molte
fiate habbiano udito di esse ragionare, bisognaua dimostrarli, come tornano bene & commodo à quello, che uolete dire; però
passate pure inanzi, quando ui piace, che mi par
che fin'hora habbiamo hauuto una buona lettione. Ripigliai dopo queste parole il mio
ragionamento à questo modo: Volendo adunque dar principio alle dimostrationi, è ne
cessario primieramente porre i Principii di questa Scienza; accioche col mezo loro si
possa uenir'alle Conclusioni; dimostrando quelle cose, che ci pareranno necessarie. I
quali Principij da uoi, com'io credo, non mi saranno negati; se uorrete ch'io uenga al
l'atto dimostratiuo. Ma per seguitar l'ordine tenuto da i nostri Maggiori, & da i moder
ni Mathematici ancora; porrò primieramente le Definitioni per ordine, dopoi le Di
gnità, ò Massime, ò ueramente Communi pareri, che dir li uogliamo; & ultimamente
le Dimande, senza le quali poco, anzi nulla potrei dimostrare. Niun di noi; disse M.
Adriano; non haurà mai ardimento di negarui cosa alcuna; essendo che sappiamo trop
po bene, che non ci proponereste cosa falsa. Ma diteci ui prego; per qual cagione po
nete inanzi ogn'altra cosa le definitioni? Alquale risposi; Bella dimanda ueramente, &
necessaria Messere mi fate; & anco non fuori di proposito, & di grande utile à saperla; pe
rò sappiate, che se b
en ui hò detto di sopra, ch'io lo faccio per seguitar gli Antichi; n
ondime
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no questa non può esser buona ragione, anzi la uera è, che le Definitioni sono quelle, che
ci danno ad intender quello, che sono le cose, che si hanno da trattare. Percioche ogni ra
gion vuole, che prima si sappia quel che sia la cosa, di che si uuol ragionare, almeno
quanto al nome; inanzi che ella si tratti; acciò non si proceda per termini non conosciu
ti. Oltra di ciò; perche la Definitione è (come tengono i Filosofi, & come hò detto più
inanzi) il mezo della Dimostratione; la onde potete uedere, per qual cagione io mi sia
mosso à uolerla porre inanzi ogn'altra cosa. Io son satisfatto; rispose M. Adriano; però
incominciate doue, & quando vi piace. Darò adunque principio (dissi io) col nome
del Signore alla
prima Definitione, la quale sarà questa.
Il fine del Primo Ragionamento.