×

Title: Discorso intorno all'opere di... Zarlino

Author: Vincenzo Galilei

Publication: Giorgio Mareschotti (Firenze, 1589)

Principal editor: Frans Wiering

Funder: Utrecht University Netherlands Organization for Scientific Research (NWO)

Edition: 2000

Department of Information and Computing Sciences Utrecht University P.O. Box 80.089 3508 TB Utrecht Netherlands
Copyright © 2000, Utrecht University, Netherlands
page 1
DISCORSO
DI VINCENTIO GALILEI NOBILE FIORENTINO,
INTORNO ALL'OPERE di messer Gioseffo Zarlino da Chioggia, ET ALTRI IMPORTANTI particolari attententi alla musica. Et al medesimo Messer Gioseffo dedicato.
[Figure]
IN FIORENZA, Appresso Giorgio Marescotti. MDLXXXIX. Con licenza de' Superiori. page 2page 3
[Figure]

AL MOLTO MAG. ET REVERENDO M. GIOSEFFO Zarlino da Chioggia, MVSICO PRATTICO, E Teorico eccellentiss. & Maestro di Cappella della Sereniss. Signoria di Venetia in San Marco.

HAVENDO il mio Dialogo dell' antica, & della moderna musica fatto conoscere come hauete voi, & il mondo vepage 4 duto, molti importanti errori delle vostre Istitutioni, & delle vostre Dimostrationi Armoniche, credeuo dopò hauerli inoltre emendati, hauer sadisfatto alla cortesia che vn amoreuole & buono Scolare è tenuto al suo maestro: ma sendomi pur hora dato tra mano i vostri Supplimenti musicali, mi accorgo da gl'importuni modi che meco vsate, cercando di nuouo prouocarmi a porgerui il medesimo mio aiuto, che non rimanete di quanto nel mio Dialogo ho detto appagato.
Laonde io ho ripreso la penna per vedere di supplire a quanto di più da me desiderate nelle due prim'opere vopage 5 stre, & appresso nei medesimi Supplimenti. vi mando adunque insieme con questa mia, quanto fina ad hora, ne ho di più corretto con speranza di hauerui appieno sadisfatto, tuttauolta che ostinatamente non vogliate opporui alla verità.
Se metterete alla stampa il libro De Re musica che promettete, lo vedrò volontiere, & gli farò attorno quel pietoso uffitio che meriterà l'opera, & la vostra cortesia. in questo mentre anderò (poi che cosi vi compiacete ch'io facci) emendando il rimanente de gl'errori che io ho notati ne vostri scritti, & senza più cerimonie, ne farò voi & il mondo consapeuole ne page 6 altro.
Di Firenze il dì vltimo di Agosto. 1588. Prontissimo per giouarui & insegnarui sempre.

Vincentio Galilei.

[Figure]
page 7

DISCORSO DI VINCENTIO GALILEI NOBILE FIORENTINO, INTORNO ALL'OPERE di messer Gioseffo Zarlino da Chioggia, ET ALTRI IMPORTANTI particolari attententi alla musica.

[Figure]
CORRE il settimo anno che io stampai vn mio Dialogo dell'antica, & della moderna Musica; nel quale come desideroso di trouare la verità, feci alcune obbiettioni a quello che messer Gioseffo Zarlino scriue nelle sue Istitutioni, & nelle sue Dimostrationi page 8 Harmoniche; il contenuto del qual Dialogo (ancor ch'io non fussi tenuto) gli haueuo prima amoreuolmente con lettere significato per intenderne il parer suo, acciò non hauesse occasione alcuna di dolersi di me veduto dopo più repliche che senz' addur' ragioni di rilieuo se nè staua ostinato nella sua prima openione, mi risoluetti a stamparlo; al che con ciascuna sua forza & sapere cercò il medesimo Zarlino d'opporsi, & mi fece auanti & dopo le scortesie ch'io sono (mercè dell'importunità sua) per dire affine che il mondo conosca, che quanto (sotto nome di suo scolare) di me si duole ne suoi supplimenti musicali (pur hora mandati in luce per sua difesa) ha grandemente il torto, oltre all'ingannarsi come io sono in fatto per mostrare a chi si piglierà cura di legger questo mio Discorso, in tutto quello che lui ha mai scritto di cose attenenti alla musica, & alle matematiche.
& per non distendermi in parole otiose, farò di nuouo conoscere a lui & a chi non lo conoscesse, che il cantare & il sonare di hoggi qual si voglia strumento, non è appatto alcuno (secondo che lui ce lo descriue) il Diatonicon Sintono di Tolomeo. farò vedere quanto meglio di lui io habbia inteso il temperamento, & la participatione dello strumento di tasti, & quella del liuto. mi scolperò dell'ignoranza di che lui m'incolpa intorno alle cose di matematica, & farò vltimamente toccar con mano, che se nulla di buono, o page 9di nuouo è ne' suoi supplimenti, l'ha apparato da me & dal mio Dialogo.
& di quì cominciandomi dico, che l'hauere Messer Gioseffo creduto, che egli creda, & che voglia creder sempre come lui dice, che quello che si canta & si suona hoggi secondo che lui celo disegna sia il Sintono di Tolomeo, gli sarà permesso, da qual sia foro; ma che realmente egli sia tale, son sicuro che non si trouerà huomo tanto grosso (pur che ei sia capace di ragione) che lo creda. imperoche la certezza che noi habbiamo che l'antico Diatono Ditonieo, hauesse, habbia, & hauerà sempre dissonanti tutti gl'interualli che son compresi hoggi sotto nome di consonanze imperfette, nasce principalmente dal trouarsi appresso di noi la distributione delle sue corde drento a' numeri & alle forme che le costituì il suo autore; & per la medesima cagione sappiamo come distribuito fusse il Sintono di Tolomeo.
hora la più gagliarda, & la più viua ragione che ne persuada che la spezie dell'antico Diatono Ditonieo non sia questa che noi cantiamo hoggi, ne manco soniamo in alcuno strumento è, che quella ha le terze & le seste dissonanti come si è detto, & questa le ha consonanti. & se tal ragione è atta a persuaderci questa verità, & che sia vero inoltre com'è verissimo, che nella distributione Sintona fatta da Tolomeo ui siano alcune quinte, & alcune quarte, & delle terpage 10ze, & delle seste dissonanti, & che quelle della spezie che si canta hoggi & si suona siano come l'esperienza ci dimostra, tutte consonanti; ne seguirà necessariamente, ch'ella non sia ne poss'essere mai quella che persuadere di nuouo ci vuole il Zarlino, che nel Sintono di Tolomeo ve ne siano delle si fatte, vedasi quello che egli medesimo ne dice & mostra con l'essempio del suo monocordo nel capo 40 della seconda parte delle sue Istitutioni, & la prima proposta del quarto, & del quinto ragionamento delle sue Dimostrationi, ne quai luoghi non solo questi suoi errori sensatamente si chiariranno, ma tutti gl'altri assurdi che nel principio del mio Dialogo dico trouarsi tra le corde del detto Sintono.
& questa è suffiziente risposta per la repugnanza fatta, & per quella che di nuouo far potesse il Zarlino a questa verità, ne Supplimenti poi, per supplire a quanto mancaua secondo lui a i due primi suoi volumi, ha speso per non dir gettati la maggior parte de quattro primi libri, cercando per vie indirette di nascondere questa verità; doue si vede manifestamente, ch'egli ha per ciò affaticato alcuno Filosofo; imperoche ne i principij di alquanti capitoli doue lui getta i precipitosi suoi fondamenti con il mezzo della dottrina Peripatetica, concludano molto bene il fatto loro: ma quando poi il Zarlino vuole applicare à quei concetti di natura contraria de suoi propositi, dice per la dispage 11formità che tra essi si trouano le maggiori impertinenze del mondo. dalle quali si conosce manifestamente che la filosofia d'Aristotile non era a suo tempo: imperoche quello che di essa fusse stato capace non hauerebbe soggiunto gli spropositi ch'io mostrerò che lui soggiugne; et la massima conclusione di essi è, che se bene nella Distributione che fece Tolomeo del Sintono vi si troua veramente l'imperfezzione da me mostrata, lui vuole che quando la voce s'incontra in essa, corri subito alla perfettione della consonanza, hora uedete in che vanità ha quest'huomo gettata via tanta sua fatica, & d'altri: non si accorgendo che quando la cosa seguisse nella maniera che lui dice, la medesima risposta di sopra seruirebbe a conuincerlo di nuouo in giuditio: cioè che non si canta il Sintono di Tolomeo com'egli ce lo disegnò: oltre che con l'istessa scusa sua potremo dire di cantare le terze & le seste dell'antico Diatono, ma ella non è accettabile.
Queste cose non le dico al Zarlino come nuoue, ma le dico a quello che ostinatamente ha contro la verità replicato ne suoi supplimenti: merciè prima dell'adulatione, & dell'ignoranza de gli huomini che del continouo ha d'attorno, & della rouina ch'ei vede venirsi addosso tuttauolta che acciò acconsentisse perche toltogli questo debile appoggio, alche fare non so che gli rimanga altro che ostinamente malignare. va in perdipage 12tione tutta la sua dottrina, com'egli istesso afferma nel capo quarto del quarto libro de suoi Supplimenti.
hora se contro la mia credenza, alcuno della Chrioccha della quale egli è capo, non sadisfatto di quanto io ho detto, volesse non meglio, ma più a modo suo chiarirsi di questo fatto, lo rimetto di nuouo a leggere le medesime opere sue, per forse non hauere le mie; atteso che quando fu stampato detto mio Dialogo, ne mandai alquanti a Venetia, & gli feci consegnare ad vn libraio perche fussero letti da gli studiosi della facultà di che egli tratta; ma non prima furono dal Zarlino veduti, che subito operò con vn Gentil'huomo di qualche autorità, del quale saperei dire il nome, & potrei produr lettere del medesimo libraio quando bisognasse; che andò da lui, & mostratogli il uiso dell'arme gli disse queste formate parole. To via questi libri di su la mostra & se mai più hai ardire di mettergli fuore, o di fargli vedere ad alcuno, io ti farò, è ti dirò. potrebbe a questo per sua scusa dire il Zarlino, che ciò operò per volere, prima che si vendessino, vedere quello che diceuano; della qual cosa non so che ne diranno gli huomini di giuditio.
ben son io certo che l'anno 81 quando fui a Venetia per dare alla stampa detto mio Dialogo, & che io l'hebbi consegnato ad vno Stampatore dopò l'esser conuenuto seco del prezzo, & ch'io gl'hebbi pagato parte de danari affine ch' page 13ei lo stampasse, subito glielo fece sapere; & per l'intrinseca amicitia che è tra essi, glielo trasse di mano, & lo tenne otto o noue mesi continoui; ne i quali si sarebbono vedute, lette, risposto, & difese (secondo però le ragioni che altri hauesse hauuto) tutte le cause della Vicheria di Napoli. dopò il qual tempo vedendo io che il mio libro non si stampaua, scrissi a chi ne haueua cura che me lo rimandasse; & dopò molte bugie del detto Stampatore, gli si trasse di mano, con pagargli però contr'ogni douere oltre a quelli che prima haueua hauuti per arra, venticinque scudi d'oro, rihauutosi vltimamente si stampò qui l'anno seguente 1582.
nel qual caso mi par che il Zarlino mancasse a se stesso, & a me ancora. mancò à se stesso per non essersi saputo seruire dall'occasione che gli s'offerse di poter stampare detto mio libro sotto suo nome, con iscusa d'essersi di nuouo meglio consigliato con i suoi scritti, come molti huomini di valore hanno fatto, delle lor proprie, & non dell'altrui fatiche; & se questo non gl'andaua per la fantasia per sospetto di non saper colorire una tanta menzogna, o per conoscere come lui dice che il mio Dialogo era pieno di errori; non doueua impedire il libraio che gli uendesse; anzi gli doueua comprare & donargli a suoi amici, acciò si fusse quanto prima palesato la mia insipidezza, & la sapienza di lui. ma la fortuna volle che non gli souuenne di pigliare quel tal' page 14espediente, affine che il mondo conoscesse qual fusse & sia la sua natura non conosciuta auanti, & appresso quanto s'estenda il suo sapere non conosciuto prima dell'vniuersale, ma solo da quelli che sanno.
potrebbe a questo soggiugnere il Zarlino, che mediante l'hauer conosciuto (secondo però che egli dice) l'imperfettioni di esso mio Dialogo, non l'haurebbe dato fuore come suo per qual si voglia cosa del mondo; ma dagl'effetti si è dichiarata questa sua strattagemma molto diuersa da quello ch'ei cercaua persuaderl'al mondo. imperoche se con dritt'occhio hauesse scorto in esso, l'imperfettioni che lui dice, non haurebbe oltre a quello che io ho detto ch'ei fece scritto nel capo quarto del quarto de suoi Supplimenti, che alcuni Gentilhuomini amici miei fecero il Dialogo che è stampato, sotto nome mio, al che rispondo prima, che qua per il contrario sono alcuni Gentilhuomini che hanno apparato da me molte cose del detto Dialogo; il qual dico esser tutta mia fatica, mia opera, mia inuenzione, senz'hauerui parte alcuna altr'huomo di me; & quello che altramente crede, crede il falso; & quello che altramente dice, dice la bugia. il breue Discorso parimente mandato al Zarlino l'anno 78 sotto nome d'altri, dico l'istesso, che del Dialogo ho detto; & chi altramente crede, o dice gli prouerò io in quel modo che a lui piacerà ch'egli è in grandissimo erpage 15rore.
Secondariamente se nel mio Dialogo fussino stati gli errori che il Zarlino dice non si sarebbe sforzato con la fatica di tanti anni di difendersi; ma con l'essempio ch'egli adduce nel proemio de Supplimenti di Zoilo, & di Didimo Alessandrino, & come huomo fumoso, si sarebbe sdegnato rispondere a quello che non ne haueua bisogno, di maniera che dalla quantità degl'anni spesi intorno à cercare di difendersi, & dalla qualità de' processi, si può conoscere s'egli ha ragione o il torto. a difendere il torto, & viè più delle cose sensate come queste, non era suffiziente tutta la filosofia, ne tutti i secoli del mondo: & a difendere per il contrario la ragione, era bastante la metà de mesi che lui tenne il mio Dialogo in mano prima ch'ei si stampasse; & vie più dicendo il Zarlino medesimo nel proemio, & nel capo 27 del quarto de suoi Supplimenti, che haueua dato loro fine, ne haueua altro che mettergli sotto il torcolo, quando gli venne il sudetto mio Dialogo in mano. laqual cosa non so vedere come possa stare; poi che in essi non vi è quasi capitolo che non sia attenente alla sua difesa, o alla mia offesa: però desidererei che mi fusse dichiarato quello che erano i suoi Supplimenti prima che gli venisse il detto mio Dialogo alle mani.
ma troppo ben conosco doue il Zarlino vorrebbe colpire con l'auuelenata saetta del suo balestro senza mira. egli vorrebbe persuadere al mondo che le cose page 16dal mio Dialogo apparate, lui l'haueua prima che lo vedesse, pensate è scritte; ma per altr'ordine: laqual cosa a Dio piacendo non sortirà a modo suo: perche oltre al farne fede i due primi suoi volumi, nei quali ancora che molto bene parte di esse il luogo le ricercasse, nondimeno non ve le pose perche all'hora non le sapeua; in vece delle quali scrisse mille vanità: ma quello che più importa è il deuiare ne Supplimenti in molte cose dal primo parere, le quali non poteua in modo alcuno saluare, come al suo luogo sono per fare manifesto insieme con l'altre insidie che lui mi ua preparando.
la onde seguendo quello che di sopra haueuo cominciato, dico che il Zarlino mancò a me per non hauere occasione alcuna di farmi i torti che lui mi fece, tenendomi a forza il mio Dialogo tanti mesi, fare opera che lo Stampatore non lo stampasse, far con minacci il libraio impedire che non lo vendesse dopo che fu stampato, & comportare vltimamente che quel suo domestico stampatore mi rubasse tanti scudi quant'egli sà.
Et perche io so quanto il Zarlino vale ne calculi, acciò non habbia di nuouo a riprendermi d'ignoranza in questo, io haueuo di sopra detto, che intorno la materia di che principalmente tratto al presente, lui haueua hauuto tempo di pensarui sette anni, però mi ridico, ne voglio essere come lui ostinato contro la verità, atteso che sono passati realmente dieci. laqual cosa mi ha page 17desta nella mente in leggendo il proemio de suoi Supplimenti; perche quando gli mandai quel mio breue Discorso sotto altrui nome di che in quel' luogo fa mentione, u'era disteso il contenuto di questo negotio; & fu come lui dice il dì 7 di Giugno 1578 & perche non habbia a occorrere a questo mio Discorso quello che occorse al mio Dialogo, ne ho mandati a donare a Venetia a molti amici miei, & per tutte le altre città d'Italia a gl'intelligenti di questa facultà, affine che conoschino la sufficienza & l'insufficienza dell'vno & dell'altro. & perche più rettamente possino darne giuditio, è bene auuertirgli, che tal disputa nasce (secondo però che in mille luoghi replica il Zarlino ne suoi Supplimenti) tra lui dotto con tutte le ragioni del mondo; & me ignorante con tutti i torti che l'huomo si possa imaginare.
Laonde si può di quì conoscere, che gl'epiteti quali il Zarlino (mercè della sua cortesia) così frequentemente mi da ne suoi Supplimenti; più ad esse che a me conuengono; & di tutti gli altri meno a me conuien quello del nominarmi fortunato. atteso che dalla nobiltà impoi, io nacqui senz'altra sorte di beni di essa fortuna. le fatiche in oltre fin ad hora da me fatte intorno alla Musica per mostrarmi non inutile al mondo mi hanno fatto più tosto inuidiare che portomi alcuna vtilità. & mediante le spese occorse nello stamparle, hannomi in vece di alcun comodo, page 18portomi del continouo incomodo maggiore.
hor a messer Gioseffo sta a romper questo diaccio, con farmi qualche segnalata cortesia in ricompensa delle presenti mie fatiche a sua riquisition fatte & a lui medesimo dedicate. & quando ciò anco non sortisca, non son per isbigottirmi, ne per pentirmi di quanto sin'ad hora ho virtuosamente operato, anzi con maggior voglie, & vigor più del solito, anderò del continouo riuedendone dell'altre già da me fatte, per mandarle in luce (che molte più sono di quelle che fin ad hora ho mandate) per vie più conseguir' quello che nel principio de miei studij mi proposi nell'animo, & questo fu l'honore. sperando mal grado della fortuna, & dell'altrui malignità, & ingratitudine che del continouo ostan meco superare l'inuidia.
Quello che fin quì ho detto (tornando al principal mio intendimento) intorno al prouare che hoggi non si canta, & non si suona in modo alcuno il Sintono di Tolomeo, come celo disegna il Zarlino sarebbe suffiziente risposta di quanto di esso dice ne due primi suoi volumi; perche contro a quelli scrissi il mio Dialogo; & non sarei tenuto veramente a procedere più auanti: ma il desiderio che io ho di compiacere a chi mi ha forzato a pigliar questa fatica, mi sforz'ancora che io discenda a più particolari di quello che io ho fatti intorno a suoi Supplimenti, però prima che più oltre mi distenda, produrrò le più gagliarde ragioni page 19che il Zarlino, dica in essi di nuouo, con tutta quella sua diuersità di principij & alteratione di termini per prouare esser vera la sua openione; l'errore di che non mi sarà graue auuertire (con quella breuità maggiore che mi sarà conceduta) & prima, nel capo quinto del quarto de suoi Supplimenti scriue il Zarlino così. Et se bene nell'ordine del Sintono non si trouasse che il tuono maggiore hauesse luogo dopo vn'altro maggiore, nella sua compositione acciò non fusse ne suoi estremi dissonante; non si potrebbe però dire, che bisognando in cotal ordine vn tale interuallo, che tal consonanza non fusse naturale di tale specie: è tanto più quando ciò procedesse dagli strumenti naturali, cioè dalle voci; perche alla natura è concesso di modulare quelli interualli che tornano al proposito nel formar le consonanze.
Non è alcuno che neghi, che le voci non possin formare & modulare quegli interualli che sono a proposito in quell'esatezza maggiore che ridurre si possano per formare le consonanze; si come ne anco è alcuno che affermi che quando le voci o gli strumenti artifiziali pigliono assunto di sonare, o di cantare vn ordine d'interualli prefissi & ordinati dall'arte in vn sistema, com'è per essempio il Sintono di Tolomeo, l'habbino a lacerare & deprauare a modo loro, traendolo fuore dell'esser suo, & della sua prima natura. imperoche così facendo, mai si potrà con verità dire che questo sia quello, o quello sia questo, & se la varietà della natura, & degl'affetti page 20delle spezie del Diapason, consiste buona parte nella diuersa positione de semituoni, quanto si farà maggiore questa diuersità, se in esse ancora si varia la grandezza de tuoni, il che quando pur segua, non perciò passa come l'intende il Zarlino. il soggiugnere appresso che ciò posson fare le voci senz'alcuna fatica, bisogna vedere se il far ciò conuiene all'hora alla natura della cosa: imperoche molte sono le cose che si possono, che non si deuono, l'interuallo in oltre che consti di due sesquiottaui come è il Ditono dell'antico Diatono, dissonerà (dico io) tanto nelle voci quanto nelle corde per non hauere quelle più priuilegio di queste.
La natura poi per non hauere ne mani ne bocca non gli è conceduto ch'ella suoni ne ch'ella canti, & il sonare & il cantar' nostro è tutt'arte. la seconda ragione che lui allega è nel capo sesto del medesimo quarto libro, & dice in questa maniera. Ma il sistema massimo che si fa naturalmente con le voci non è terminato da alcuno numero di corde; o d'altri interualli o altri termini, di modo che non sia libero, & non sia ristretto tra alcuni termini o spacij; percioche le voci possano nel salire & nel discendere, come molte fiate habbiamo detto, farsi acute o graui quanto porta la ragione degl'interualli, che s'adoperano nella specie senz'alcuna contradittione; essendo che dopò che la cantilena è finita, non si uede alcun'interuallo che resti in atto tra coloro che cantano; ma si bene in pura potenza.
il sistema massimo si canta con le voci, & non si fa page 21perche è di già fatto & ordinato come lo vuole l'arte; ed è terminato da vno particolar numero di corde, d'interualli, & di spazij misurati & limitati dall'arte, & questo secondo che piace al Zarlino è il Sintono di Tolomeo, & se bene le voci possono salire & discendere, & farsi graui & acute, non perciò hanno da fare alcuna di queste operationi (se però è vero ch'elle cantano il Sintono come dice il Zarlino) più quà o più là che le voglia la ragione degl'interualli che furono constituiti nella spezie che si dice, o che si vuole cantare: ne si può procedere per altri interualli che per i suoi senza qualche contradittione.
è bene naturale che gli estremi suoni della Dupla, & quelli della Sesquialtera accordino; ma l'esser diuisa questa in quattro, & quella in sette interualli d'vna o d'vn'altra misura & grandezza, e tutta cosa dell'arte: laquale le diuise in tali è tante parti, perche da esse considerò poterne trarre comodità maggiori per il suo fine per la cagion di chi volse l'arte medesima in ciascheduna ottaua cinque tuoni & due semituoni; la diuersa positione de quali variano le sue spezie, che son sette, perche in sette diuerse maniere & non più bene accomodare si possano: & il lungo vso è poi cagione che posti senza i debiti mezzi fuor de luoghi dell'arte prima determinati, che noi gli udiamo con poca sadisfattione.
La onde l'arte & la prattica del modulare nell'alteratione delpage 22le corde Diatoniche ordinarie, & communi, vsa alcuni mezzi & rispetti (come sanno i periti Contrapuntisti) & non gli altera a caso & impensatamente, & perche nell'ordine Sintono, secondo però che lo distribuì Tolomeo; non si trouano due tuoni maggiori contigui l'vno appresso l'altro; perciò al Contrapuntista, per qual sia occasione non sarà lecito modulare per due si fatti interualli se però quello che noi cantiamo è il Sintono secondo che celo disegna il Zarlino non solo perche aggiunti insieme dissonerebbono, ma per non trouarsi nella detta distributione di corde successiuamente due tuoni di quella grandezza; ma si bene si trouano nella distributione che prima ne fece Didimo.
ne cred'alcun' Chriocante che l'alteratione delle corde che ordinariamente si fa nel Diatonico con il mezzo de segni accidentali detti cromadici (perche da tale alteratione nacque tal genere) sia il medesimo che mutare il tuono maggiore nel minore, o per il contrario mutar questo in quello, perche di gran lunga s'ingannerebbe. i buoni antichi Musici, con la varietà de gli interualli, & con la diuersità dell'ordine & sito loro, distinsero la diuersità delle spezie già dette, & la varietà de generi dell'armonie: le quali spezie poi, o fussin' cantate, o fussin' sonate, erano in ciascuna minima parte loro sottoposte alle conditioni nelle quali le haueuano gl'autori di esse constituite; & qual sia di loro che punpage 23to le hauesse alterate, veniua additato per ignorante, o come disprezzatore delle leggi Musiche era seueramente punito.
il sistema massimo adunque che ci descriue il Zarlino, e terminatissimo da vna determinata quantità di corde, da vna determinata quantità d'interualli & spazij, ciascuna de quali comprende in se vna determinata quantità di suono graue & acuto dall'arte di Tolomeo assegnatagli. le voci nel pigliare assunto di cantare, o gli strumenti di sonare vn particolar sistema, non sono più libere, & non possano ragioneuolmente procedere, ne formare altri interualli oltre a quelli che nei luoghi loro particolari furono instituiti in esso dal suo autore senz' alterarne alcuno dal primo esser suo; perche dall' alteratione loro nasce la diuersità dell'armonie & degl'affetti.
& se ben le voci possano, non deuono volere quello che non si deue, o non doueua dire il Zarlino ch'elle cantino il Sintono: & la ragione che gli ha dal canto suo in questo luogo non vo tacerla: imperoche è verissimo che dopo che la cantilena è finita, non si vede come lui giuditiosamente dice, alcuno interuallo che resti in atto; ma si bene in pura potenza. è possibile che quest'huomo non si arrossisca nel dir queste leggerezze? dopo che si è cantato che si ha da vedere per aria vno sciame di pechie, o di zanzale?
Soggiugne nel medesimo capo quest'altra ingegnosa ragione. Con gli strumenti da fiato & di corde page 24non si puo passare fuor dell'ordine loro, poi che i suoni sono tra le chorde & fori terminate: ma questo non auiene ne gl'ordini fatti dalla natura nelle uoci, i cui termini non sono prescritti se non dalle proportioni & forme de gl'interualli che s'hanno da cantare; mediante il buon giuditio et sano vdito dei cantori percioche possono distendere la voce, quanto porta la proportione degl'interualli che si uogliono formare senza troppo o difficultà veruna; non essendo nello strumento della voce alcuna chorda o foro che faccia il suono diterminato come negli strumenti artificiali.
Con gli strumenti di fiato & di corde non si puo passare fuor dell'ordine loro, perche con quell'ordine di suoni che tra essi si ritroua conseguisce il sonatore il suo fine: ne dice alcuno di giuditio, che quello strumento possa, o faccia quello ch'ei non fa & non puo. & gl'ordini delle voci fatti dalla natura, è vero che tra essi non è per l'ordinario & naturalmente termini prescritti delle forme & misure di questi che di quelli interualli piu o meno tesi o rimessi gl'vni degl'altri, & gli possono formare come a loro piu aggrada; ma tutte queste limitationi prendono dall'arte ciascuna volta, ch'ei piglino a cantare questo o quel sistema: il quale (sendo vero che hoggi habbin preso a cantare il Sintono di Tolomeo) pone per modo di dire freno alle voci assegnando ad esse i termini precisi di qual si voglia suo interuallo, non altramente che si faccino i fori & i tasti de gli strumenti artifiziali & di fiato & di corde alpage 25le dità & mani del Sonatore. & se faranno altramente non soneranno il Sintono come ci è stato disegnato.
più oltre. le voci imparano dall' arte a portare, & formare qual sia interuallo musico, in quell'eccellenza maggiore che gli contenghino le piu vere proportioni & forme loro; non altramente che ci apprendino i principij della pittura dal disegno, che è d'imparar prima a disegnare ciascuna parte di qual si voglia corpo in suprema eccellenza, & nell'esatta proportione & bellezza loro. come per essempio, del corpo humano s'impar'a disegnar prima boccha, naso, occhio, orecchio, mano piede, & altro: & nell'hauer poi a dipignere vn huomo, vna donna, o vn cauallo a modo loro; i pittori eccellenti lo faranno sempre ch'ei voglino in tutta perfettione. ma quando dal naturale hanno a ritrarre alcuno particolare, son forzati dal soggetto ch'ei cercono imitare, di rappresentarlo tale quale egl'è con ciascheduno di quei particolari accidenti che sono naturalmente in lui: lasciando all'hora da parte la proportione & bellezza delle membra, non trouandosi tali nel subbietto c'hanno da imitare.
hora cosi parimente deuono le voci; & quantunque l'habbino facultà (non naturalmente come vuole il Zarlino, ma dopo l'hauere appreso con lunga prattica l'arte del ben cantare) di formare, & modulare per qual si voglino corde nell' eccellenza detta gl'interualli, quando poi pigliopage 26no à cantare vn particolare sistema, l'hanno a canrare tale quale fu dall'artifizio del suo autore distribuito; & altramente facendo con il passare da un'all'altra spezie d'armonia vengono a deprauare gl'ordini, & le leggi musiche, si accorge hora il Zarlino che la strettezza qual prima pose al Sintono non gli puo dare quel perfetto che lui desidera al che bisognaua pensarui auanti.
Nel capo settimo adduce quest'altra ragione. Perche se bene nell'ordine artificiale della detta & naturale Sintona sarà vero che ci siano l'imperfettioni dette, fallirà però cotale consequenza nell'ordine, naturale. E' adunque fuor di proposito il volere concludere che non si vsi la detta specie naturale & Sintono di Tolomeo; perche nel sistema arteficiale non son compresi molti interualli, che nelle nostre cantilene che si suonano & cantano, non si trouano: ma si bene tornerebbe vera la conclusione, quando nello strumento naturale si vsasse altri interualli di quelli, che nelle loro proportioni & forme proprie sono elementali nel sistema artificiale del naturale o Sintono nominato.
Se noi vogliamo discorrere come huomini ragioneuoli, la consequenza non fallirà altramente; ma se vogliamo discorrere senza ragione alcuna delle cose, fallirà questa è tutte l'altre. Nel Sintono di Tolomeo il Zarlino afferma esserui, a cotale imperfettione; s'ella vi è adunque, sempre ch'ella sarà cantata com'ella stà, si vdirà tale imperfettione tra le voci: il dir poi che quando le voci cantando s'incontrano in essa, corrono alla perfettiopage 27ne & per ciò noi non l'vdiamo; io rispondo che non l'vdiamo non perch'ella non vi sia; ma per hauere abbandonato gl'interualli dissonanti che ha in quei luoghi il Sintono, & essere andate le voci a quelli d'vn'altra che tra le medesime corde consuona. di maniera che la consequenza vale molto bene. ne gli sia piu lecito per l'auuenire se non tra i suoi Chriocanti, di vsare quegli epiteti di Sintono naturale & di Sintono artifiziale; come se Tolomeo hauesse fatto due distributioni di esso, & se a Dio piacerà dichiarerò nel fine di questo mio Discorso che cosa è questo naturale & questo artifiziale, male inteso dal Zarlino. torno a dire che Tolomeo ne fece vna sola distributione, & la nominò semplicemente Sintono, senz'altro epiteto.
E adunque molto a proposito il voler concludere da questo, che non si canti il detto Sintono, come ce lo disegna il Zarlino, & quegli interualli di esso che non s'vsano secondo lui nelle nostre cantilene & nei no stri strumenti, in vece de quali ne adoperiamo altri di misura & natura diuersa, conclude appunto l'opposito di quello che lui cerca persuaderci. imperoche se nel Sintono habbiamo tra la corda D. a vna quinta dissonante per esser diminuita, è tra a. d vna quarta dissonante per esser superflua instituitaui l'vn'& l'altra dal mal disegno del Zarlino, tutta volta che tra esse corde o cantando, o sonando vi si porranno interualli d'alpage 28tra forma & natura; non saranno appatto alcuno quelli che vi constituì Tolomeo, & verrà necessariamente deprauato il suo ordine & la sua intentione, dall'esser forse stata mal'espressa da questo, & peggio intesa da quello, che tra le dette corde oltre a molti altri luoghi siano nel Sintono le dette dissonanze, il medesimo Zarlino nel capo ottauo dice, ch'elle dissonerebbono talmente sempre ch'elle si mettessero in atto di quella misura, che le vdirebbe vn sordo, le vederebbe vn cieco, & lo saprebbe dire vn mutolo.
hora di questa liberalità, vna mezza parola ch'egli ne hauesse mosso nell'opere sue prime, non si veniua à questi cimenti: ma egli a canto soggiugne che il dir questo è fuor di proposito, cioè del suo vuol'inferir egli, & allega la solita sua ragione; con dire che non si adoperano nel cantare; & quando due parti s'incontrano in esse dissonanze corrano (lasciando quelle nell'esser loro artifiziale) subito alla perfettione. hora questo non è egli il medesimo che se lui dicesse, che le voci abbandonano il Sintono & vanno ad vn'altra spezie d'armonia. ma quell'artifiziale & quel naturale è la sua ritirata, & non si accorge che tanto è naturale il consonare dell'ottaua, quanto il dissonare della settima o di qual sia altro interuallo.
La ond'io torno a dire, che Tolomeo fece vn sol Sintono, alquale non dette (come fuor d'ogni proposito) nome ne di naturale, ne d'artifiziale; & gl'interpage 29ualli che il Zarlino dice che sonando & cantando noi non gli vsiamo della maniera che son compre si nel Sintono, ci auuiene per non potere hauere da esso l'intero nostro intento, & lo conseguiamo col passare da questa a vn'altra spezie di armonia come si è detto, caso però che il Sintono stia della maniera che il Zarlino ce lo disegna. ne vuol poi che si creda che per ischerzo habbia detto, che la metà del comma, tolto o aggiunto a qual si voglia interuallo consonante sia atto a farlo dissonante come non l'ha egli dettò per ischerzo se la differenza dell'intero comma che è di quanto il tuono maggiore eccede il minore, non vuole che sia di rilieuo alcuno.
Soggiugne dopo molti spropositi, che io ho detto che il prattico ignora, & benissimo intende le cose; ilqual modo di parlare dice che viene da mia leggerezza; & io confermo che cosi sarebbe, tuttauolta che il giuditio si hauesse semplicemente a fare dalle parole che lui de mio recita dopo hauerle accomodate a modo suo, come ha piu volte fatta ne suoi Supplimenti; ma le mie formate parole suonano di questa maniera. il prattico ignora la ragione che intende il Teorico, ilquale senza vdire gl'interualli con veder solo di quello che sono composti, conosce se siano consonanti o dissonanti; doue il prattico gli conosce solo dall'vdirgli. non è adunque leggerezza il cosi dire; ma è ben pretta malignità di colui che con fraude cerca ocpage 30cultare la verità.
Soggiugne appresso il Zarlino, che tutti quei difetti che io dimostro esser nel Sintono, non esser huomo alcuno tanto goffo e tanto ignorante che non ve gli conosca; di maniera che per hauer'io con sol questo vinto la causa, non ricerco altro da lui; atteso che nel mio Dialogo dico solo che tra le corde del Sintono di Tolomeo vi sono le dette imperfettioni. hora il Zarlino torna a replicare (& cio sia detto con pace di quelli che si piglieranno cura di legger questo mio Discorso) che queste cose son dette fuor di proposito & senza ragione; & ne adduce per esempio, che nel cantare & nel sonare non vi si odono, perche non sarebbe dic'egli, alcuno si pazzo che le cantasse o le sonasse: & pur lui solo dice ch'elle si suonano & si cantano, cantando noi & sonando il Sintono di Tolomeo come a lui piace; non calza ella questa ragione & milita?
Se questi tali difetti che si trouano nel Sintono, non si odono nell' cantarlo o nel sonarlo, auuiene che i cantori & i Sonatori tolgono come lui dice, altr'interualli in vece di proprii, & non saperei ragione di questa migliore o persuadere al mondo che quello che si canta & si suona hoggi non è il Sintono che il Zarlino ci disegna:
Risponde a questo vn'altra sottilissima & ingegnosa ragione, ed è tale. dice prima che il mio argomento non conclude perch'egli passa da vna spezie all' altra; & questa diuersità di spezie è quel suo napage 31turale, & quell'artifiziale. & io replico che il Sintono è vn solo tutto artifiziale, fatto cosi dall'artifizio di Tolomeo.
L'altra ragione che nel fine di esso capo allega non starò a repeterla per esser di diretto contraria al suo fine; ne posson'esser' ne saranno mai le sue ragioni altramente se le migliaia ne adducesse, rispetto l'esser fondate su la falsità; per non intendere i principij, & piglio io questo tedio di produrle a maggior sua confusione.
Non contento di questo, soggiugne nel capo nono, che io adduco l'essempio del temperamento dello strumento di tasti per prouare che hoggi non si canta il Sintono; la qual cosa è da me detestata, come si legge nel mio Dialogo, anzi per creder lui quello che a me attribuisce, s'è cagionato tutto il male, dice appresso che io ho scritto che hoggi si cantano le quarte superflue, & le quinte diminuite; il che è verissimo, & auuerrebbe sempre che si cantasse il Sintono come lui ce lo disegna; di che fo vna dimostratione in quel luogo che conclude necessariamente; la quale non replico per non esser tedioso piu di quello ch'io sono mediante la sua importunità.
Soggiugne nel medesimo luogo & al medesimo proposito; che io ho detto che gli huomini si contentano di vdire cantare le quinte & le quarte imperfette, mediante il non hauere vdito cantare le vere; al che rispondendo; dico che gl'huomini si contentano di quanto lui dice, in proposito dello strupage 32mento di tasti ordinario, comparando i suoi interualli a quelli che si cantano, o a quelli dello strumento di tasti da me ritrouato; nel quale vengono tutti in quell'eccellenza maggiore che si puo desiderare. & non lo dico come lui vuole in proposito del cantare a modo suo, & se di quello che quì hora scriuo, trou'alcuno vn minimo che che non sia vero, mi tenga per huomo senz'honore. nel fine del capo scriue quest'altro argomento. Che volendo che la natura sia corretta dall'arte; & che questa sia come esemplare di quella; & che sia imitata da quella, & non che l'arte segua & imiti la natura come vero esemplare, sarà contra a quello che io ho determinato nel capo quarto del primo.
Che habbian noi da fare con quello che il Zarlino ha determinato in tal luogo. vedasi se quello che io dico è vero, & sia poi contro al capo quarto, & al quinto che questo poco importa; ancor che prima ch'io posi la penna faro veder più chiaro che il Sole, che i suoi principij son tutti di diretto contrarij alla verità: & tornando al primo mio intendimento, dico che l'esemplare di questo negotio è (secondo il Zarlino) il Sintono di Tolomeo, cosa tutta artifiziale, fatta dall'artifizio di lui, & mal inteso dal Zarlino. ilqual'esemplare, l'arte & non la natura cerca ritrare & imitare con le voci naturali, & con gl'artifiziali strumenti; & chi di questi meglio l'imiteranno, & puntalmente lo ritrarranno del naturale, meriteranno nome di più page 33eccellenti maestri, allo sproposito poi che lui soggiugne, rispondo così.
Se il modo che si vsa di cantare modernamente questa diuersa quantità d'arie insieme, habbia hauuto origine da gli strumenti di corde come tengo io per fermo, o che il sonare in essi piu parti insieme si sia introdotta dall'vdir cantare come dice il Zarlino, la rimetto al giuditio di quelli che intendono questa facultà; crederò bene che nel primo principio del cantare & del sonare in consonanza la cosa passasse d'altra maniera che non passò vltimamente.
Vn'altro suo inganno racconta nel capo decimo, per prouare che io sia in errore dicendo che hoggi non si canta il Sintono, ed è tale. Replica di nuouo che io argomento dagli strumenti artifiziali, che hoggi non si canti il Sintono; & dice che io fo la mia conclusione di questa maniera. Volete vedere che non si canta il Sintono, guardate che ne anco si suona negli strumenti. doue troua il Zarlino che io vsi questi termini? Le ragioni che io adduco che non si canti ne si suoni il Sintono della maniera che lui ce lo disegna, le cauo come si è veduto, non d'altroue che dal medesimo Sintono.
Soggiugne appresso che io dico che gli interualli che si cantano hoggi, non si cantano nelle vere forme loro naturali. anzi il contrario; perche il Sintono dico io, ha delle quinte & delle quarte consonanti, & delle dissonanti, & quelle che si cantano è suonano hoggi son tutte consopage 34nanti, adunque non si canta ne si suona il Sintono. dice inoltre, che gl'interualli che si cantano bisogna necessariamente ch'ei siano contenuti sott'altro genere & spezie di quelli che si suonano. laqual cosa (nel modo che lui la dice) quanto sia dal vero lontano si può conoscer di qui. il suono come quantità continoua puo esser tanto dalle voci quanto dalle corde diuiso in quali & quante parti si vogliono. adunque qual ha interuallo che le voci cantino, puo esser sonato dell'istessa misura & grandezza dalle corde.
non è vero adunque che sia necessario che gli interualli che si cantano siano contenuti sotto diuerso genere & spezie di quelli che si suonano. se lui vuole applicare quella diuersità di genere, & di spezie al suo naturale, & al suo artifiziale, non sarà vero ne anco quello che lui dice. perche il naturale del Sintono, è per modo di discorrere, la distributione che ne fece Tolomeo; laquale si puo puntalmente & cantare, & sonare com'ella stà senza mancargli vn minimo che. piu oltre, se lui conosceua questo impossibile, come veramente è secondo la sua poca intelligenza; perche dice che tutto quello che si canta & si suona hoggi è Sintono; & il Sintono è vn solo.
Soggiugne nel capo vndecimo, quest'altro suo trouato. Et se bene simili interualli vengono necessariamente tra le chorde del Sintono per accidente, & restano tra esse, percioche questo anco interuiene in qualque altro strumento arteficiale, page 35ordinato in cinque Tetrachordi; nelquale l'arte ha in esso terminato, con imitar la natura più c'ha potuto quello, che gl'e stato permesso; tuttauia non si puo dire che siano della spezie Sintona, nascendo a caso tra le sue chorde, essendo che ne anco si pongono (perche sono dissonanti) nelle cantilene.
Quando Tolomeo ordinò il Sintono non vi fece distintione d'interualli naturali, & d'interualli artifiziali. il Sintono tutto insieme, & in ciascheduna parte della sua diuisione è artifiziale. naturale è la qualità del suono che contiene in se qual sia interuallo di essa, di maniera che questi son tutti trouati Zarlineschi per aggirare i balordi. il dir poi che ciò accade in qualch'altro strumento, è fuor di proposito; & il far lui in quel luogo mentione de cinque Tetracordi, non serue ad altro che arrecar marauiglia a suoi Chriocanti, l'artefice poi nel fare i suoi strumenti, mai per tempo alcuno si prese cura d'imitare la natura; ma solo cercò con il mezzo di esso d'ottenere il fine propostosi.
gl'interualli dissonanti che ha in se il Sintono, non vi nascono più a caso o più pensatamente che vi naschino i consonanti; però non si può con verità dire ch'ei non siano della spezie Sintona, perche qual sia di loro è parte & membro necessario di esso, postiui tutte da Tolomeo, (circa la distributione, & dalla natura quanto all'acccordare o il discordare) con uguale affettione. il dir poi che hoggi non si adoperano nelle cantilene per esser dissonanti, & in lor campage 36bio si piglia de consonanti; questo è appunto quello ch'io dico nel mio Dialogo, cioè che noi cantiamo insieme più spezie d'armonie; & se pur vna dimostrabile, non è la Sintona come ce la disegna il Zarlino.
Vuole nel capo duodecimo prouar di nuouo che hoggi si canti il Sintono con questo gentile essempio. Et se fusse vero come tengono alcuni che non si cantasse mai ne si sonassero gl'interualli terminati dalla natura nelle lor uere & naturali forme; ne seguirebbe vn' massimo inconueniente; che Iddio & la natura, come suo strumento, che non operano mai cosa alcuna in vano; hauesse dato a mortali vna cosa che non si potesse porre in atto; ma che fusse sempre in pura potenza; onde sarebbe in tutto vana & inutile; laqual cosa in tutto e per tutto è lontana dal vero.
Nissuno negha che non si cantino & non si suonino in alcuni strumenti gli interualli nella vera lor forma; ma si bene che non si cantino ne si possino cantare ne sonare in modo alcuno nella lor forma con il mezzo del Sintono di Tolomeo mal dichiaratoci dal Zarlino, perche in esso Sintono non ci sono, nei suoi mezzi (se più oltre non si estende la sua virtù di quello che fin ad hora ci ha detto il Zarlino) sono efficaci di farcegli hauere con qual si voglia sapere humano, per esser di diretto contrario alla natura; & questo e quello che di sopra ho detto prouar demostratiuamente nel mio Dialogo senz'alcuna contradittione.
Iddio & la natura adunque, non hanno dato a mortali page 37quello che dice il Zarlino, senza potersi mettere in atto; ma bene hanno istituito che non si possa mettere in atto alcuna cosa senza i debiti mezzi; però intendendo lui se questo tal mezzo non ce lo da il Sintono, come lui ce lo disegna non ce lo puo dare alcun'altro, gl'auuenne dalla troppa voglia che lui ha che il Sintono ci dia quello che appatto alcuno non ci può dare senza conoscere la sua virtù & adoperarla, & vien grandemente a mancar di giuditio in questo.
però sendo hormai chiaro di trouarsi fuor della diritta via che lo può condurre in questa verità, harebbe accomodarsi a quello che vuole il douere, fin tanto almeno che meglio si ritroua: & qual sia la meglio anzi la vera distributione che hoggi si canta & suona in alcuni strumenti, la dirò prima ch'io posi la penna, o al piu lungo in vn mio Discorso fatto già più mesi sono intorno all' vso delle Dissonanze, che presto douerà venire in luce.
Vengo hora a raccontar per vltima ragione del Zarlino, quello ch'egli scriue nel capo trigesimosesto lasciando tutte l'altre per esser le medesime già dette. Scriue adunque così. Le Voci nel cantare il Sintono fanno non altramente che si faccia il Sonatore di Liuto; nel quale trouandosi vna corda falsa nell'acuto o nel graue più di quello che per l'ordinario da essa si ricerca, va con le dita, o con il muouere i tasti dal luogo loro ordinario supplendo a cotal difetto.
Non è egli questo vn essempio di tutti gl'altri essempi page 38più stupendo & marauiglioso? la corda falsa nel liuto, o i tasti fuore del luogo loro per ouuiare all' inconueniente di essa, vi accade per accidente: & quando le corde son giuste come richiede il douere, i tasti stanno fermi a i luoghi loro determinati secondo che gli ricerca quel sistema che il Sonatore si è preposto di sonare; & nel Liuto è l'incitato di Aristosseno; ilqual' suona puntalmente senza alcuna sorte d'alteratione; e tutto quello che il Zarlino dice che fa il Sonatore, all'hora, lo fa per volere con ciascheduna sua forza & sapere imitare il detto Incitato dal quale lo deuiaua la falsità della corda detta, & l'ordinaria & vera positura de' tasti. di maniera che l'essempio ci prou'al solito degli altri suoi, l'opposito di quello che lui cerca persuaderci. & che sia vero; i cantori quando nel cantare la spezie Sintona di Tolomeo, lasciano gl'interualli proprij & particolari di essa & vanno non per necessità alcuna ma per elettione a quelli d'vn'altra che gli ha dal Sintono diuersi tra le medesime corde, che fanno?
Non cantano all'hora il Sintono come il Zarlino ce l'ha di segnato ma vna spezie d'armonia di natura da esso Sintono diuersa. non si canta adunque il Sintono di Tolomeo limitato a guisa delle corde d'vno strumento come lui ce lo disegnò, ma si canta alcune sue parti come io ho detto tante volte altroue; & quando pure ci sia ha bisogno di altra intelligenza di quella che gli dà il Zarlino, & ciò page 39sia suffiziente conclusione di questo primo capo.
Sento sin di quì Messer Gioseffo che ne anco rimane sadisfatto, & cerca di nuouo malignare con far produrre da suoi Chriocanti le conclusioni del fine del medesimo capo trigesimosesto, che specificano a detto loro vn poco meglio il suo concetto di qual siano altre prodotte; hor leghinsi di gratia & finiscasi. Et se ben paresse; come alle fiate suole auuenire che cantando in alcun luogo il tuon maggiore in luogo del minore, o questo in luogo di quello, acciò che gl'incontri nelle parti della cantilena non si udissero discordare.
Sentite torna di nuouo a replicare che la cantilena scorderebbe sempre ch'ella fusse cantata secondo l'ordine delle corde disegnatici nel Sintono da Tolomeo.
Segue appresso Et non si trouasse tal ordine nel sistema massimo, & che non si cantasse la pura naturale Sintona Diatona secondo l'ordine descrittaci dall'arte, Cioè di Tolomeo. vedete se quest'huomo può parlare più chiaramente per prouarci al solito suo il contrario di quello ch'ei cerca persuaderci.
Soggiugne poi. questo sarebbe di poco rilieuo. Hor vedete semplicità; vuole che il far le cose arrouescio di quel ch'elle s'hanno da fare, sia il medesimo che farle per il verso loro. ma attendete la bella ragione ch'egli adduce. ne si potrebbe mai argomentare dall'impossibile. come dall'impossibile, non è possibile adunque alle voci di cantare qual sia interuallo che sonar possono due corde?
Hora seguitiamo, & vedraspage 40si dipoi che bella conclusione che io trarrò da quell'impossibile. & fare che non si cantasse secondo il bisogno gl'interualli di cotale specie, & non d'altra. vdite quest'altra gentil ragione. Per esser l'vno & l'altro di questi due elementi: cioè il tuon maggiore, & il menore. a lei proprij hora vedete negl'inconuenienti che incorrono coloro che trattano delle scienze & dell'arti, senza hauere suffizienti principij di esse: & il danno & dishonore che apporta la troppa voglia che altri ha che le cose stiano per il verso ch'ei le vorrebbe & non secondo ch'elle stanno.
non si accorge quest'huomo che le sue ragioni concludano il medesimo che dire; Quando al pittore occorresse di ritrarre del naturale vno c'hauesse come alle fiate occorre, vn'occhio dell'altro maggiore; la pupilla d'vn' de quali fusse nera, & pendesse quella dell'altro nell'azzurro. hauesse inoltre vna volatica nella guancia sinistra, & vn neo sopra il ciglio destro; gli sarà attribuito a eccellenza maggiore tuttauolta che il ritratto di costui sia senza alcuno di quelli difetti: argomentando che se bene ha vn occhio dell'altro maggiore, più bello sarà facendoglieli d'vna medesima grandezza. & quantunque egli habbia vna volatica nella guancia sinistra, egli non l'ha perciò nella destra; bene adunque sarà fargli quella come questa: & per la medesima ragione dipignerlo senza quel neo che diceuamo hauere sopra il destro ciglio, & fargli page 41le pupille d'vn'istesso colore. alche rispondendo dico, che questo tal ritratto mediante il mancare di quegli accidenti ch'erano in lui naturalmente, iquali dagli altri vi è più lo faceuano differente, sarà tenuto d'ogn'altro che di quello per il qual' fu fatto. oltre che 'l Pittore ne verrà reputato ignorante, o almeno adulatore.
& quando pur la ragione del Zarlino valesse, si discostaua meno dal vero, con hauer seguitato l'openione che si teneua auanti a Lodouico Fogliano; che era che si cantasse l'antico Diatono, & non il Sintono di Tolomeo, come molti anni prima del Zarlino haueua scritto: imperoche quello con il nostro ha vna sola difficultà che è il dissonare delle terze & delle seste che per esse poco & chi troppo tesa di quanto il tuono maggiore eccede il minore; doue questo che dice il Zarlino seguendo l'openione del Fogliano, (per essere stato da loro mal disegnato) ne ha infinite come si è dimostrato: ma lo ritenne forse l'essempio che prima che lui nascesse haueua pensato dire nel capo vigesimoquinto del quarto de suoi Supplimenti; ed è tale. E se bene il Lupo si assomiglia al cane, non però è cane: perche quell'indiuiduo è veramente quello istesso che ritiene in sè quelle cose che si truouano nell'altro. & auanti nel capo quinto del primo haueua detto che nell'imitatione si fa sempre il simile. di maniera che quella poca differenza (tornando a quello che pur hora diceuo) che è tra il Diatono, & quello page 42che si canta hoggi più facilmente nascondeua la maschera che il Zarlino pone al Sintono; per esser la differenza di questo con quello che si canta assai maggiore; la quale non viene da essa maschera talmente occultata, che da quegli almeno che sanno come egli è fatto, non sia riconosciuto.
puossi dalle parole del medesimo suo processo, trarne quest'altra conclusione. che se gli huomini non sanno cantar con gli strumenti datigli dalla natura, quello che sonar sanno gli strumenti fatti dall'arte, più possa in questo fatto l'arte, che la natura: ma ne anco, ciò e vero, atteso che la voce naturale, & il suono artifiziale per esser l'vn' & l'altro materia compresa sotto la quantità continoua, la natura & l'arte possono egualmente. imperoche tanto con la corda, quanto con la voce si può diuidere, accrescere, & diminuire in infinito qual sia interuallo: quantunque il senso di alcune di quelle minime differenze, o di quell'estrema lontananza in grauità, o di quell'estrema vicinanza in acutezza non n'è capace.
Io ho fatto sopra questo primo capo vna diceria di tante parole, che la centesima parte (per quelli che intendono questa facultà) bastauano; anzi nessuna. perche il mio Dialogo era suffiziente: ne haueua bisogno alcuno di scuse, o di aggiunte, o difese: ma il desiderio che io ho d'essere inteso da quei semipliciotti della Chriocca di messer Gioseffo, mi ha indotto a far questo; i quali voglio di page 43più auuertire, che quando anco fusse vero che si cantasse hoggi il Sintono di Tolomeo, (parlo di quello che ci è disegnato dal Zarlino, non perciò hanno a renderne gratie a lui di hauerci scoperta questa verità, laquale ingiustamente si attribuisce nelle sue Institutioni; ma si bene come di sopra ho accennato, a Lodouico Fogliano, com'egli dimostra nella seconda settione della sua musica teorica; stampata prima che il Zarlino nascesse: laqual cosa auuertij ancora nel mio Dialogo; & il Zarlino fingendo di non l'hauer veduta, replica nell'vltimo capo de suoi Supplimenti d'esserne stato l'inuentore, aggiugnendoui questa ingegnosa parentesi (laqual cosa so che non mi negherà il mio diligente discepolo.)
Egli sapeua molto bene che il suo discepolo poiche così gli piace nominarmi, haueua detto nel suo Dialogo esserne stato inuentore Lodouico Fogliano; ma il Zarlino come ambitioso, ne due suoi primi volumi non ne fece alcuna memoria, & l'andò attribuendo a se stesso come ancora si attribuì l'inuentione dei dodeci tuoni tolti dal Glareano, del quale parimente non ne disse parola, & cosi fece di mill'altre cose attribuitesi che mai a suoi giorni dopò hauerle vedute le hauerebbe intese, non che ritrouate. auuedutosi vltimamente d'essere stato scouato, ne suoi Supplimenti si va scusando con dire che il Fogliano non vi haueua fatto sopra quella lunga cicalata che page 44fa lui senza toccar mai tasto che accordi, & del Glareano dice hauerlo vna volta veduto in sogno. del quadrato poi vsurpato a Tolomeo, se ne scusa con dire ch'ei non ci da le consonanze imperfette. come vuol egli che Tolomeo tratti d'vna cosa che non era in vso al suo tempo, & se pur ell'era, veniua fuore del suo proposito il trattarne. nel capo quaranto della seconda parte delle sue Istitutioni attribuisce per il contrario a Tolomeo l'inuentione del Sintono, ilquale fu ritrouato da Didimo, prima che nascesse Tolomeo.
Tra le scuse del Zarlino, più di tutte l'altre mi piace quella che lui fa nel capo primo de suoi Supplimenti; scusa veramente argutissima ed è tale. dice quest'huomo, che l'hauer' detto delle cose, che furono molti anni prima scritte da altri, non è accaduto dall'hauerle lui uedute & lette in essi loro libri, ma dalla forza della verità che l'ha costretto a cosi dire; & il medesimo tiro uorrebbe far hora a me di quelle ch'egli ha nel mio Dialogo apparate, e' scritte dipoi ne suoi Supplimenti. Son differenti messer Gioseffo le cose che vanno per questo, da quelle che (come sanno i uersati nelle scienze) vanno per quel verso.
Vengo al secondo capo che è intorno al temperamento, & participatione dello strumento di tasti, il quale dice il Zarlino nel capo noue, & nel venticinque del quarto de Supplimenti, che io mi attribuisco per mia inuentione, & ciò replica inpage 45finite volte. alche rispondendo dico, che nel mio Dialogo non si trouerà mai parole, che significono quella che contr'ogni douere cosi scriue il Zarlino. Vna distributione di nuouo da noi ritrouata.
Ben' è uero che nell'accennare l'inuentione d'un mio strumento (ilquale per non hauer mai il Zarlino ueduto, ne inteso, non può darne giuditio) io dico le parole che lui referisce allo strumento ordinario & commune. non è uero adunque ch'io mi attribuisca l'inuenzione del temperamento, o participatione dello strumento ordinario di tasti.
Ha per usanza quest'huomo di non recitare mai le parole ch'egli allega di mio, per il uerso ch'elle stanno, & di addurne quella quantità che a lui piace, dandogli in oltre quel sentimento che più gli aggrada; & in particolare, nel dire io, che nella spezie Diatona Ditoniea uengono dissonanti gli interualli detti hoggi consonanze imperfette, non per la perfettione delle quinte come infiniti ardiscono dire, ma per la grandezza de tuoni, & picciolezza de semituoni, il Zarlino soggiugne subito, che ciò auuiene dalla perfettione delle quinte, & non dalla grandezza de tuoni.
Hora che in questo ancora s'inganni come in tutte l'altre cose sue, si può conoscere dall'ordine naturale de numeri; nel quale è prima tre che cinque. & quando anco la cosa stesse altramente, chi è quello che m'impedisca dopò l'hauer tirato nello strumento una quinta perfetta, ch'io non page 46la possa diuidere con un tasto di mezzo in due terze consonanti?
Dalla grandezza de tuoni adunque viene, & non dalla perfettione delle quinte il non consonare le terze, & le seste nella distributione Diatona Ditoniea: & quando ciò dalla perfettion delle quinte auuenisse, ne seguirebbe che non si potesse vdire ne tra le voci, ne tra le corde vna quinta perfetta diuisa in due terze consonanti, la qual cosa è spressa pazzia il dirla.
Soggiugne appresso che non è buona ragione la mia, quando io dico non essere inconueniente che il semituono maggiore di questa distribuitione, ecceda di qual cosa la sesquiquindecima, poi che egli è tratto da vn tutto, maggiore del sesquinono. al che rispondo, che io non credo che altr'huomo di lui s'opponesse a tanta verità: uolend'egli che i medesimi semituoni che riempiono il sesquinono senza auanzarli, cosa alcuna, riempino parimente il sesquiottauo; & pur fa professione di matematico.
non vo passare con silentio (a confusione maggiore de suoi Chriocanti) quest'altra consideratione che mi souuiene, ed è tale: se nel Sintono di Tolomeo vi si trouano il tuon maggiore, & il tuono minore; & che sia vero che i due semituoni de quali fa mentione il Zarlino in più luoghi de suoi scritti, riempino appunto il minor tuono senz'auanzarli com'ho detto cosa alcuna; chiara cosa sarà che dal tuono maggiore se ne traranno due di grandezza magpage 47giore de già nominati: ma lui vorrebbe che il maggior' tuono diuenisse minore, & il minor maggiore secondo che più gl'accommoda, senza renderne alcuna ragione; & in oltre che non si pensassi punto a gli inconuenienti che questa disugualità de tuoni mal disegnata da lui cagionerebbe quando fusse vero che si cantasse cosi male ordinato il detto Sintono, il che nella maniera che lui ce lo dimostra è impossibile.
ma dicami per sua fede quello che lo mosse a far mentione ne due suoi primi volumi, solo dei due semituoni che riempiono il tuono minore, & non di quelli che riempiono il maggiore? auuenga che nel Diapason vi sono tre di questi & due di quelli; oltre che per vna volta che occorra al minor tuono esser diuiso ne due suoi semituoni, accade dieci al maggiore?
Se fu per malitia, lo cagionò la baldanza presa di quel suo numero senario, di quei suoi numeri armonici, & appresso il rispetto di quanto haueua detto del trouarsi gli interualli consonanti nel genere multiplice, & nel superparticolare, & non ne gl'altri; dai quai luoghi viene escluso non solo il minor semituono del tuon maggiore; ma quello che più importa è, che tuttauolta che se non augumentasse la sesquiquinta forma della minor terza per farla diuenire maggiore, ne risulterebbe la super 17 partiente 64, forma del dissonante Ditono, il quale parimente si troua fuore di ciascun de detti tre luoghi; & il medesimo accaderebbe al semipage 48ditono sempre ch'egli si considerasse nella maggior terza detrattone un minor semituono del tuon maggiore: imperoche all'hora ci rimarrebbe il semiditono del detto antico Diatono drento a si fatti numeri 32. 27. ma a questo risponderebbe con la solita sua ritirata, cioè che la voce corre alla consonanza, senza hauer prima dimostrato se questo è o può essere realmente.
Se gli auuenne per ignoranza, fu di quella crassa da vero, poi che egli non sa ancora tra quali numeri sia contenuto il semituono minore del maggior tuono, il qual interuallo è necessario al Sintono più di alcun'altro, come io sono al suo luogo per dimostrare. & che da ciò nascesse, legasi il capo 11 del quarto de suoi Supplimenti, doue fa mentione di cinque semituoni di diuerse grandezze, facendogli nascere a modo suo, senza dire o sapere di doue, o di come, & perche più di quelle che d'altre proportioni, & perche più quella che vn altra quantità. le qual cose passando senza dirne parola, mi fa credere quanto io ho detto, & poteua cosi poruene dieci, come cinque, & drento a quei numeri che più gli aggradiuano; ilquale errore nel palesarlo nella maniera ch'io son per palesare, uerrò a far noto quali, quanti, di doue, come & perche tanti è tali siano i semituoni del Sintono.
E adunque da ridursi a memoria, che ciascuna quarta, dalle difettate impoi (per esserci state mal dissegnate dal Zarlino,) contiene nel Sintono di Tolomeo, page 49vn tuono maggiore, vn' minore, & vn' maggior semituono. il qual maggior semituono tratto dal tuon' minore, ne auanza quello ch'è detto semituono minore, drento a questi numeri 25. 24 ma tratto dal maggior tuono, ne rimane il minor semituono di esso tuono maggiore (non prima da altri conosciuto per elemento del moderno contrapunto) drento a questi altri 135. 128.
con queste poche parole vengo hauer dimostrato che tre siano i semituoni (se però è giusta la descrittione che fa il Zarlino del Sintono) & non cinque, de quali grandezze ei siano, & di doue, & come tratti. & se alcuno mi domanda per qual cagione io habbi tratto dal maggior tuono la sequiquindecima, & non la sesquiuentiquattresima; con quest' altro essempio gli dimostrerò che cosi è di necessità, & cosi richiede la natura della cosa che si faccia. & che sia vero: noi habbiamo di già noto dalle parole di Tolomeo i termini del maggior semituono, che è della medesima grandezza in qual sia tuono; con ilquale interuallo mi parto di c. & mene vengo in b mi, & dopò discendo in b fa; & perche tra b fa & F ha da rimanere vna sesquiterza, l'eccesso di che il Tritono la supera, sarà il contenuto del minore semituono del tuono maggiore ch'tra b fa, & b mi; ilqual supera d'vn' comma la sesquiuentiquattresima, che e la forma del minor semituono del tuon' minore.
tre sono adunque i semituoni & non cinque; di che il Sintono si serpage 50uirebbe quando secondo il disegno che se ne ha, pun talmente si volesse cantare, o sonare; dei quali il maggiore che è contenuto dalla sesquiquindecima, è commune all'vno & all'altro tuono; il minor semituono del minor' tuono, o pur lo vogliamo dir'il minimo, e tra 25 & 24, et il mezzano, o pur lo uogliamo dir' minore del maggior tuono, è tra 135. & 128. & quantunque il minor semituono del sesquiottauo pigli augumento d'vn comma, & il maggiore rimanga nell'esser suo, resta nondimeno inferiore ad esso di poco meno dell'augumento perso.
lascio per breuità di considerare molte altre cose di momento che si potrebbono considerare in questo luogo, & vengo all'impertinente domanda che mi fa il Zarlino col chiedermi di qual proportione sia la quinta nel Diatono Ditonieo dopo l'esserne tratto due settime parti del comma, & datole alla quarta: ma non sarebbe già impertinente con le medesime conditioni il domandarne lui in quella del Sintono di Tolomeo, poi che vene sono di più sorti, mercè del suo poco disegno: & prima ch'io passi più oltre, voglio per mia scusa dire, che non sia alcuno che creda ch'io facci a gli spropositi, con andar cosi spesso saltando (come per prouerbio si dice) di palo in frasca; imperoche io son sforzato di rispondere per quell'ordine, & a quelle cose di che io sono domandato.
Torna di nuouo messer Gioseffo con la solita sua importunità, a replicare che io mi attribuisco l'inuentione del sudetto temperamento: & io dico che tal cosa non page 51dissi ne scrissi giamai. ma il Zarlino che dice in mille luoghi esser sua inuentione, gli domando auanti che lui la ritrouasse, come si accordaua tale strumento, venuto in vso tante centinaia d'anni prima ch'ei nascesse il suo arcauolo? ma ei volle forse dire d'essere stato il primo (che ne anco questo è vero) che considerò come stesse questa tale participatione, & di che quantità venissero accresciuti, o scemati dalle vere forme loro gli interualli in essa; nella maniera medesima che si legge di Pitagora essere stato il primo che considero drento a quali numeri & proportioni si trouassino le consonanze.
Hora vedete quest'altra non so che cosa dirmi. torna a riprendermi con dire, che nel mostrar'io quel tal temperamento, poteuo torre qual sia altra Diapason di quella ch'io tolsi, & cominciarmi dall'acuto, & dal graue, & d'altroue: quasi che io habbia detto che fusse di necessità a torre il Diapason ch'io tolsi, & che altramente fare tal cosa non si potesse che per l'ordine & modo che io tenni. io non dissi mai tal cosa; ma ben dico al presente, che la Diapason ch'io tolsi, & l'ordine ch'io tenni, non fu punto a caso, & fu forse il meglio che elegger si potesse; & il fin mio all' hora, non fu punto come il Zarlino dice, di volere insegnare accordare lo strumento; ne parlare di participatione ne d'altro, come veramente (col testimonio di esso mio Dialogo) io non parlo; ma per solo mostrare ad alcuni Gentil'huomini page 52con i quali mi trouauo all'hora, la differenza che è dall'vno all'altro Sistema, senza l'vso del Mesolabio, o della Regola harmonica. & quantunque io habbi incidentemente nel mio Dialogo detto quelle poche parole della participatione dello strumento di tasti; ho con esse nondimeno dimostrato che le quinte realmente vengono in esso scarse è tese le quarte; ho reso la ragione della necessità che le fa tali, ho mostrato di che quantità elle siano fuore delle lor forme, & che per il contrario non posson farsi tese le quinte è scarse le quarte; delle qual cose come più dell'altre degne d'essere in quel' fatto sapute, il Zarlino non ne mosse parola, come forse non intese ne considerate da lui.
lo Strumento adunque che io dissi hauere ritrouato con le quinte & le quarte perfette, non ha da fare cosa del mondo con la participatione del Zarlino, o con altra; in proposito di che vsai le parole che il Zarlino malignamente cita a sproposito: ma egli è di complession tale, che le cose da altri trouate, non le toccando com'i vulgari con mano, o non l'intendendo, o non le volendo intendere; o pur credendole dopo hauerle vedute & intese, le disprezza; quando però le vede di maniera palesate, che vsurparsele più non puote. ma le sue, o quelle d'altri fatte sue, le magnifica con tanto apparato d'impertinenti parole, che quando altri dopo molta patienza è giunto al fine di leggerle, page 53non fa il più delle volte (non per difetto di memoria come lui dice, ma per l'insipidezza sua) quello c'habbia voluto inferire: & pur dice in cento luoghi delle sue opere, di essere stato all'vsanza de Greci stringato nello scriuere; laqual cosa ho io osseruata esser vera ne' luoghi difficili: & con tale scusa gli passa con silentio: ma non perdiamo tempo in questo.
nel capo venticinque del medesimo quarto libro, cerca pur' con semplici parole al solito, di scoprire nuoui errori occorsi nella medesima mia distribuitione, poi che egli vuole così dirla; & conclude che in essa i tuoni vengono disuguali; laqual cosa è così veramente, tuttauolta però che a cose vguali, tolto o aggiunto parti vguali, rimanghino disuguali tra di loro. dice appresso essere arroganza la mia, quand' io dico non potersi diuidere l'interuallo superparticolare in parti vguali con i numeri; ma solo secondo il modo di Aristosseno; intendendo io all'hora per il modo d'Aristosseno, il mezzo delle linee, assegnando alle parti quella portione che dar' gli si vuole con i mezzi geometrici. al che soggiugne il Zarlino ciò potersi fare secondo l'aritmetica; & quando viene al fatto, lui la diuide parimente senz'assegnar' con i numeri la portione di esse parti, nella maniera che della corda o linea si è detto: laqual cosa a volerla fare con i numeri, ci va la medesima fatica, che va a dimostrare che ciascun' numero sia nel medesimo tempo page 54& pari, & impari: ma perche spend'io parole intorno gl'impossibili; se nel capo vndeci del medesimo suo libro, doue i numeri si poteuano, & si doueuano porre necessariamente per dimostrar con essi quella tal distribuitione esser la Sintona di Tolomeo come lui dice, senza iquali poteua nominarl'a modo suo, non ve gli pose; affine che in quel' luogo non gli fusse fatto il conto addosso.
hora venghiamo alla distribuitione del liuto; laquale, prima che il Zarlino vedesse il mio Dialogo, credeua che fusse la medesima di quella dello strumento di tasti; come si legge nel capo quarantadua, & quarantacinque del secondo delle sue Istitutioni: ma accortosi dipoi essere in errore, & conosciuto per mezzo di esso, che il liuto strumento nobilissimo suona puntalmente l'Incitato d'Aristosseno insieme con il suo Cromatico, si pentì de hauere (nel capo sedici della seconda parte delle sue Istitutioni senza saper perche come quello che non l'intendeua) confutato le sue distribuitioni; & hora ne suoi Supplimenti viene in più luoghi a dire che Aristosseno fu vn musico eccellentissimo.
di quello adunque che lui cerca imputarmi in questo fatto, poteua sbrigarsene con due parole; ma per mostrare d'intendere la cosa arrouescio, getta oltre al tedio dello scriuergli dieci fogli di carta, & di più la fatica degli intagli di tanti suoi liuti, liutini, & liutesse: & son sicuro che gli hauesse veduto gli scritti d'Alpage 55berto Duro, non si lasciaua in modo alcuno fuggir di mano l'occasione d'insegnarci il modo di mettere il liuto in prospettiua perche ci calzaua à capello. hora tutto lo schiamazzo che lui fa, è per l'interpretatione di queste due parole, che lette nel sentimento ch'elle sono state da me scritte, son più chiare che 'l Sole, & son tali. Di maniera che il diciotto è il suo più proprio diuisore d'altro maggiore, o minore numero.
Soggiungo appresso, che questo non ci da l'essatto della cosa, si come ne anco l'apertura del compasso dopò l'hauer descritto vn' cerchio, non misura la circonferenza di esso in sei volte, ma si bene quella dell' essagono descrittoci drento.
La onde il Zarlino impugnando arrouescio la cosa, viene a voler dimostrare fuor d'ogni proposito, che 12 sesquidiciasettesimi non riempiono sommati che siano insieme, la dupla, hora vedete pretta malignità ch'è la sua. chi è quello, che sia capace del mio concetto, c'habbia bisogno che gli sia dimostrato le cose note, o che cerchi degl'impossibili, che in questo proposito vale il medesimo? non saperà egli ancora, che la dupla non è capace d'esser diuisa in qual si voglino parti vguali? laqual cosa come manifesta, non ha bisogno di dimostratione: ma l'ordinario suo è sempre di voler dimostrare le cose note, & volere che le difficili gli si concedino, come ho dimostrato, & mostrerò poco di sotto con altro che con semplici parole come fa page 56lui.
Io ho detto, che per dimostrare all'hora quello che mi faceua di mestiere, il 18 era più a proposito di qual si vogli altro numero; la qual cosa volendo il Zarlino prouare ch'ella staua altramente, haueua da produrre vn' numero più del 18 a proposito, & non vna misura d'vna linea; & cosi veniuo conuinto in giuditio. il dir poi lui che quello non ci da l'esatto del negotio. questo parimente dico io, & ne dò l'essempio del compasso & del cerchio. poco di sopra per il contrario mi riprese, nel negar'io di potersi con i numeri diuidere in parti vguali il primo multiplice & qual siano de superparticolari; hora vedete che patientia bisogna hauere con quest'huomo.
Secondo l'ordine promesso, verrò con quei pochi principij di matematica che da fanciullo apparai, a rispondere a quanto di essa il Zarlino mi riprende; & prima dico, che nel mio Dialogo, tutti i calculi, & i computi che vi sono, son giustissimi, & con assai facilità spiegati. ben è vero, che la più parte di essi son facili, perche il luogo non ricercaua difficultà maggiore; laquale ho con ciascun mio sapere fuggita; & quello che si poteua fare con semplici parole, non ho voluto per predicar me stesso, adoperare difficili strumenti, o farne difficili dimostrationi: prima per non esser queste da ciascuno intese; & quelli per non trouarsene in tutti i luoghi & non saper ciascuno adoperargli.
& venendo al caso del Zarlino dico, ch'io non so vepage 57dere in quel suo libro che lui intitola Demostrationi Harmoniche, quello e'habbia voluto dire, ne anco quello c'habbino a fare quelle sue nouelle di che è pieno, con le dimostrationi da douero; & venendo al particolare poiche cosi si è compiacciuto ch'io contro mia voglia facci, lui scriue nel capo ottauo del primo de suoi Supplimenti, questa bella sentenza in suo fauore; dicendo che non può esser huomo di fama, di reputatione, o di valore, senz'esser versato nelle matematiche: laonde se dal saper matematica si ha da fare giuditio dell' valore de gl'huomini, verrò a dimostrare quanto lui ne sappia: & di quì cominciandomi dico; che nel primo ragionamento, pone la quarta domanda per notissima, laquale per la sua oscurità ha dato occasione di affaticarsi a huomini grandissimi per dimostrarla: com'è Eutochio, Pappo, è Teone; lasciando ch'ei la pone per domanda essendo da Euclide stata posta per diffinitione: ma questo fa in tutte le seguenti che lui nomina dignità, lequali sono propositioni di Euclide; & per la difficultà loro, degne d'esser dimostrate; come è la prima, la quarta, la sesta, la settima, & altre. hora questo è l'ordinario de comentatori de luoghi facili, i quali comentatori passano con silentio le cose difficili per non esser da loro intese; scusandosi poi come io ho detto, d'esser breui è stringati: in quelle cose poi che sono note, vi fanno sopra lunghissimi discorsi.
lascio page 58stare il poco ordine che in esse osserua, ponendouene alcune fisiche, com'è la seconda, tra le altre che sono matematiche; ponendole inoltre indifferentemente tolte dalle diffinitioni del primo & del settimo d'Euclide.
Quanto poi appartiene alle dimostrationi, oltre al non essere nella più parte punto il modo che ad esse conuiene, ve ne son molte delle false; com'è l'ottaua; nella quale c'insegna che volendo porre qual sia numero per differenza di qual si voglia proportione, si multiplichino i termini di essa, o siano radicali o non radicali, per il numero dato: non si accorgendo che questo non è vero se non quando la detta proportione non solo è tra i suoi termini minori, ma differenti per l'vnità. & che sia vero, volendo che tra la proportione 6. 4 caschi 3, s'io moltiplicherò i termini 6. 4. per 3, mi daranno 18 & 12 tra, i quali cade 6 & non 3. & quando la proportione fuss'ancora ne suoi termini radicali com'è 5. 2, pate la medesima difficultà: perche se vorremo ridurla in termini differenti per il 4, hauremo 20. & 8, tra i quali cade 12 di differenza & non 4. questa sua regola adunque, d'vniuersalissima che lui la pone, non è vera se non in vno de cinque generi, cioè nel superparticolare, & qui ancora solo quando la data proportione sia ne suoi termini minori.
Ridicoloso modo d'argomentare vsa nella 36. del medesimo primo ragionamento, considerando le proportioni come se fussero quantità, & non page 59relationi di quantità: attribuendogli quelle passioni che alle quantità conuengono; come il tutto esser maggior della sua parte: dalche lui argomenta la proportione della prima alla terza per esser composta della proportione della prima alla seconda, & di quella della seconda alla terza: esser maggior di amendue essendo quella come tutto; di queste come parti composta: ilche quanto sia uero, giudichisi da quest'essempio 6. 8. 4. nelquale è verissimo che la proportione 6. 4 et è composta delle due 6. 8, 8. 4. (secondo lui) come delle sue parti; nulladimeno, se la proportione 6. 4. sia maggiore della 8. 4. lo lascierò giudicare a quelli che intendono l'ottaua del quinto d'Euclide; la quale per quanto io comprendo, si da questo come da quello che nella seguente proposta egli scriue, non è stata da lui intesa; nellaquale, fondata su la falsità della precedente, scriue queste parole. Onde per la precedente sarà maggiore proportione 8. con 12 417/512 numero composto, che non hauerà con 12 numero semplice, il che è contrario quanto al modo del dimostrare, lui per mala sua fortuna non dimostra mai alcuna cosa, & lascia sempre nella penna, tutto quello ch'è di buono nelle matematiche, che è il dimostrare necessariamente le sue conclusioni. & che questo ancor sia vero, nel Quadrato del ragionamento secondo alla proposta 14, dal qual'egli trae le forme delle consonanze, tolto di peso da Tolomeo, scripage 60ue per dimostrar quanto bisogna queste parole. & la g h venga diuisa in g o, o h; & g o sia la terza parte di a c. O bella conclusione.
Segue appresso. Ancora q K sia diuisa in q n & n K, delle quali q n contenga la quarta parte di a c. O com'è stringato quest'huomo nel dir' quello ch'ei non intende.
Segue in oltre. Sia vltimamente diuisa e f in e m & m f, tanto che e m contenga la sesta parte di a c.
Il che similmente resta indimonstrato. dou'ogni persona di giuditio conoscerà che in questa propositione nellaquale si distende assai, non ci è altro c'habbia bisogno di esser dimostrato, eccetto quello che lui lascia senza dimostratione; laqual cosa non fà, per non saperla fare; & conseguentemente non viene ad hauere inteso Tolomeo dond'ei la leua di peso: & il medesimo stile tiene in tutte l'altre che lui chiama dimostrationi; & io con quelli pochi di principij che io ho, l'hauerei dimostrata così.
Essendo c a l. g a o triangoli simili, c a ad a g hà la medesima proportione che c l à g o: ma c a di a g si è posta esser sesquialtera di quali parti dunque la c l sarà 6 è tutta c d 12, la g o sarà 4, onde sarà la terza parte di a c; per la medesima ragione c a ad a q ha la medesima proportione che c l à q n. ma c a per l'hypotesi è doppia di a q, adunque c l sarà doppia di q n, e tutta c d quadrupla. Similmente perche c a ad a e, è come c l ad e m, & c a si è posta tripla di a e, sarà c l tripla di e m, & c d sescupla della medesima. che è quello che si dopage 61ueua dimostrare.
Mi souuien'hora del gentilissimo Messer Claudio da Coreggio, & quantunque egli sia l'istessa modestia, non posso credere ch'egli habbia vdito alcune di queste semplicità senza ridersene insieme con gl'altri che introduce il Zarlino ne suoi ragionamenti; a i quali ha fatto vn grandissimo torto, con mettergli in predicamento di huomini c'habbino bisogno d'imparare per dimostratione le cose notissime; come è quella che traendo da vna ottaua la quinta, rimane la quarta; concetto veramente da tenere a tedio qual si voglia huomo otioso, & di ottuso ingegno. & forse che di si fatte cose se ne legge vna sola nelle sue Dimostrationi, ei n'è pieno il libro dal principio al fine.
Hor dicami di gratia Messer Gioseffo, appresso quali matematici ha imparato che si ponghino le diffinitioni, & nel medesimo tempo si cerchino di dimostrare? il che fare è appunto vn uoler litigare quello che d'accordo ci è conceduto. nell'ottaua diffinitione del secondo ragionamento dice, che la Diapason è contenuta dalla proportione dupla, nella quinta dimostratione poi uuol dimostrare l'interuallo della Diapason esser moltiplice. nella nona diffinitione dice la Diapente esser contenuta dalla sesquialtera, & nella decima la Diatessaron dalla sesquiterza, & poi nella terza propositione uuol dimostrare la Diapente & la Diatessaron esser collocate tra i maggiori superparticopage 62lari. nello 11. & 12. diffinitione dice il Ditono esser contenuto dalla sesquiquarta, & il Semiditono dalla sesquiquinta, & nella settima proposta dimostra il Ditono e 'l Semiditono esser superparticolari, che non è poco. nella proposta 15 del medesimo ua cosi seguendo. l'interuallo del semituon maggiore è composto della proportione sesquiquindecima, & poi nella seguente uuol demostrare l'interuallo del semituon maggiore esser superparticolare. o bello acquisto. nella 21 del terzo dimostra il semituon maggiore consistere in proportion' maggiore che non è la sesquisesta decima, & nella seguente soggiugne il semituono maggiore consistere in proportion maggiore della sesquidecima settima. o bella nouità.
Soggiugne poi nella seguente proposta, che la proportion' sesquiquarta decima è maggiore del maggior semituono; & appresso nella seguente dimostra la proportion sesquisesta decima esser minore del semituon maggiore. & di questa sottilità è pieno com'io ho detto il libro delle sue Dimostrationi: di che non è marauiglia, perche à Venetia mediante la copia delle stampe, si uendono i libri a canne; & ciò fu la cagione che l'indusse a crescere i suoi Supplimenti di tanti fogli, empiendogli come a lui piacque delle parole del mio Dialogo; & non solo per ciò fece quello che io ho detto, è tacque in oltre il mio nome, non per carità come lui dice nel proemio page 63di essi suoi Supplimenti, ma per quello ch'io son per dire al presente.
Tacque prima il mio nome, perche le tante maledicenze, gli hauerebbono impedito ch'ei non si fussero stampati, & affine che io & il mio Dialogo non venissimo in cognitione degli huomini; cercando con questa insidia, ingannare il mondo di nuouo; con persuadergli che le parole che di mio allega, fussero suffizienti per dichiarare la mia intenzione; & cosi senz'altramente vedere in fronte il mio Dialogo, se ne riportassino à quanto egli istesso ne diceua senza cercar più oltre.
Quello adunque che sensatamente uorrà vedere quanto più di quello che fin quì ho detto s'inganni quest'huomo, & quanto a torto di me si quereli, pongasi auanti il mio Dialogo, senza punto credere a quello che il ZarlinoZarlino scriue ne suoi Supplimenti o altroue; & vedrà che in essi pone le clausole, le sentenze, & i periodi imperfetti, tronchi, & lacerati. & per accennarne vna sola, nel capo terzo del primo de detti suoi Supplimenti, recita alquante mie parole così. Considerate se un'istrumento fatto d'un stinco di Grue, d'Auoltore, o d'Aquila, è atto a percuoter gli huomini, & torgli la vita. nelle qual poche parole commette nel recitarle tre sorti di errori. prima la lingua materna mia Fiorentina, la traduce in Bergamasca. mostra che l'ortografia non fusse nata a suo tempo. & la terza che più importa è, che lui guasta la sentenza; oltre all'interprepage 64tare arrouescio la cosa, e l'attribuire a se stesso il mio concetto, & a me il suo sproposito: per dichiaration di che, bisognerebbe spender molte parole, la onde io per breuità lascerò che sia veduto in fronte il luogo; & quello ancora della quantità del comma che lui scriue nel capo ottauo del quarto. ne soggiugne a canto questo vno altro di spezie diuersa, che è di citare i capi, & i luoghi arrouescio; ed è quando egli dice che io cito il capo trentacinque delle sue Istitutioni, & nel mio Dialogo è scritto il quarto: & di queste piaceuol burle ne fa spesso spesso al lettore.
Ma tempo è hormai di sbrigarmi dalla matematica, & per esser men tedioso, anderò solo raccontando alcune cose delle più famose che lui scriue; com'è quella del Ragionamento terzo alla proposta settima; doue lui fa vna proposta vniuersalissima, & la dimostratione particolare: perciò che ei propone voler dimostrare qual si voglia spatio diuiso in molti spatij, & in quella che lui chiama Dimostratione si ri strigne a vno spatio particolare diuiso in noue spatij. poi, che maniera di dimostrare è l'adoperare numeri? l'ha forse apparata dall'ottaua del quinto d'Euclide, doue si parla dello hauere maggiore o minore proportione, horsu ch'io gliela voglio insegnare a dimostrare.
Essendo a c vguale à c d, per la settima del quinto hauerà a c ad c b la medesima proportione che c d à c b: ma per l'ottaua del medesimo c d à c h ha propage 65portione minore che c d à d b; & componendo per la 28 del medesimo a b, à b c hauerà proportione minore che c b à b d. che é quello, che si doueua dimostrare. & quello che più ha del buono è, che lui va allegando ne suoi Supplimenti a ogni parola per testimonianza della verità di quanto dice, queste nuoue & ingegnose sue Dimostrationi; Et questo basti intorno ad esse.
Verrò hora addurne vna o due di quelle che io ho lette in vn velocissimo corso ne suoi Supplimenti, poiche cosi gli è piacciuto ch'io contro a mia voglia facci. nel quarto, al capo 21, distendendosi in cose leggerissime ne di alcun' momento, lascia la dimostratione di quello che lui propone voler dimostrare; che è di moltiplicare soggiugnendo qual si voglia proposto interuallo. & prima dice hauer ciò compreso dalla proua dimostrata nella precedente proposta del medesimo suo libro; laquale non ha che fare nulla con quello ch'ei vuol' dire: la onde io per carità, voglio insegnargliela; però rimettasi innanzi la figura costrutta com'ella stà nel luogo detto, & doue egli dice a e esser sesquialtera di c f per la diffinitione del primo delle dimostrationi, dica che ciò è vero per la seconda del terzo d'Euclide: & perche egli non sapeua quello ch'e si volesse dire, andò col suo balestro senza mira tirando al solito suo inarcata, senza specificare ne qual diffinitione, ne qual dimostratione lui cita.
pone dipoi la c g vguale alla c f; per il che fare compone vna diceria tediopage 66sissima; ma nel dimostrare poi che la c b sia sesquialtera della b g, per non esser carne da suoi denti, fa vna mescolanza di spropositi la più terribil del mondo. dicendo prima ciò esser vero per la seconda parte della diffinitione 15 del primo d'Euclide; che ci ha da fare quello che ho da fare io nel Perù, & per fortificare la sua ragione soggiugne de più; per la quarta del secondo del medesimo Euclide i due triangoli a b e & c b f esser proportionali: hora da questo solo non si accorge egli di non intendere i termini? come vuol' egli ch'Euclide faccia comparatione di due triangoli, & gli chiami proportionali, se la proportionalità deue almeno cadere fra tre termini? lui volse dire ch'egl'erano equiangoli, & che i lor lati erano proportionali. & quando pur hauesse detto così, non era ne anco approposito, perche la linea b g della quale è sua intentione di dimostrare la b c esser sesquialtera, non è lato alcuno de due triangoli da lui nominati: ma non perdiamo tempo in questo, & insegniamogli il modo di dimostrare la c b esser sesquialtera della b g. hora dica. perche c s è parallela di a e, i due triangoli a b e, c b f sono simili. & per la quarta del sesto, come a b à b c cosi a e ad c f cioè à c a c g essendo c g posta uguale à c f.
Hora essendo come tutto a b à tutta b c, cosi la parte tratta a c alla parte tratta c g sarà la rimanente c b alla rimanente b g come tutto a b à tutto b c per la 19 del quinto; adunque c b è sesquialtera di b g, che page 67è quello che si doueua dimostrare; & nel medesimo modo si dimostrano tutte l'altre.
Et perche parrà impossibile ad alcun de suoi Chriochanti, che hauendo saputo dimostrare l'antecedente assai piu di questa difficile, si sia nella meno difficile cosi aggirato; hor per leuargli tal dubbio, gli dirò la cagione, ed è questa.
La dimostratione che lui fa di trouare tra due linee proposte due medie proportionali, l'ha tradotta a uerbo da Eutochio, o da Vitruuio; nella qual traduttione ancora, si dichiara quant'egli intenda di questa facultà: atteso che lui mostra di non sapere ancora qual differenza sia tra il Rettangolo, & il Quadrato; chiamando il rettangolo b a c g quadrato; & pur la differenza ch'è tra di loro s'impara nelle diffinitioni del primo di Euclide.
Lascio stare, che traducendo quelle parole (ma non mi sia attribuito a pedanteria) Quod autem continetur sub &c. che piu uolte interuengono in tal dimostratione, scriue, Tutto quello ch'è contenuto sotto. Dalche si puo conoscere, ch'egli non intende la forza delle parole; le quali importano: il rettangolo contenuto sotto.
Hora impari quanto meglio gl'era attenersi al consiglio che lui dice nel principio del quinto ragionamento, che gli daua l'amico suo, in cercare di dissuaderlo dall'impresa, con quella modestia maggiore ch'ei poteua, di publicare quelle sue dimostrationi: il quale si uede che molto meglio di lui conosceua quello ch'elle ualessero: ma s'egli si fusse attenupage 68to al suo consiglio, non hauerebbe apparato quanto ho fin ad hora a suo ammaestramento scritto, se però ne è stato capace, & forse che quest'huomo ne suoi Supplimenti non è andato strapazzando il pouero Archimede, mostrando di hauerlo su per le punte delle dita non altramente ch'ei ci habbia la lingua Caldea.
Piu oltre, s'egli hauesse inteso la detta propositione, non hauerebbe pianta per morta la duplicatione del Cubo; & cosi quell'ancora don d'egli trasse l'uso del Mesolabio che fu da Filone Bisantio; ma se gl'hauesse letto la dimostratione d'Archita circa l'inuentione delle due medie & l'hauesse intesa; hauerebbe conosciuto esser pura & semplice geometrica, & non mecanica, come quelle diuersamente da molti altri ritrouate: & perche, come io credo che lui sappia, la duplicatione del Cubo non è altro che poste due linee, la prima delle quali sia la metà dell'altra, trouare tra esse due medie proportionali; il Cubo della seconda sarà duplo del Cubo della prima, & essendo dimostrata l'inuentione di dette medie, resta la duplication del Cubo ritrouata.
Io resto ammirato che quest'homo habbia hauuto ardire di publicar si fatte leggerezze; send'io sicuro che a Venetia, questa facultà in particolare, è non solo tra la nobiltà apprezzata; ma vi sono molti che la posseggano in eccellenza.
Il quarto & ultimo capo proposto nel principio di questo mio discorso, fu di far toccar con mano al medesimo Zarlino, che tutto page 69quello di buono, o di nuouo che lui dice ne suoi Supplimenti l'ha apparato da me & dal mio Dialogo; la qual verità non è di mestiere il persuadergliela, per sapere ciò quante volte ei l'habbia confessata alla sua coscienza, & la tace a gl'altri per honor suo; & sarebbe impertinenza la mia lo scriuer qui tutto quello, che da esso mio Dialogo si puo chiaramente raccorre. hora se gli huomini di giuditio, & capaci di quant'io ho detto in questo mio Discorso, conosceranno non esser vero, non si curino altramente di vedere il mio Dialogo dell'antica & della moderna musica; ma ne credino & ne dichino senz'alcuna sorte di rispetto, quello che più gli aggrada: ma se per il contrario trouerranno esser vero, faccin'opera di hauerlo, perche da esso conosceranno apertamente quante ragione io habbi hauuto a dire, quello che fin quì ho contr'a mia voglia detto.
Non era mia intentione di passar'oltre a questo termine; ma ricordatomi dell'obbligo che io ho (per la promessa fatta) di dimostrare che Messer Gioseffo Zarlino dice rare volte cosa che stia per il suo verso, voglio in vece di quello che io ho lasciato di dire (poi che nel mio Dialogo si può leggere) discorrere sopra il capo sesto del primo de suoi Supplimenti, dal che se ne trarrà molto profitto, poiche in esso sono tutte le conclusioni de suoi principij, in materia di quello che principalmente cerca di persuadere & prouare nell'opera sudetta. però se di ventiotto o trenta conclusioni page 70che sono in esso capo, lequali cerca sostenere per vere, io gli farò toccar con mano ch'elle son tutte false, potrà pigliando questo per arra, contentarsi dell' malleuadore; perche da esso conoscerà ch'egli è atto a sodisfarlo dell'intera somma: & da persuadere in oltre al mondo, che tutto quello che da essi principij il Zarlino argomenterà sarà chimera & sogno.
Et per sadisfattione maggiore degli studiosi, & amatori del vero, mi comincerò dal titolo di esso capo, ed è tale. Che quello che è fatto secondo la Natura non si può ben correggere con il mezzo di quelle cose che sono fatte dall'arte, le quai parole concludeuano la verità tuttauolta, che per il contrario hauesse detto così. Che quello che è fatto secondo la natura si può molto ben correggere col mezzo di quelle cose che son fatte dall' arte; & sene poteua addur tra gl'altri, gl'infrascritti essempij.
L'arti sono di più maniere, & al proposito nostro importa questa; che certi arti non hanno riguardo alcuno al benefizio del lor subbietto, ma quello vsano & abbusano in qualunque modo che gli serua per far l'opera propostasi; come farebbe il calzolaio del cuoio, o il legniaiuolo del legno.
Sono altre arti che al contrario di queste, hanno per fine il benificare & far perfetto quanto più possano il lor subbietto; come son l'agricoltura, la pastorale, la medicina degl'animali chiamata da' Latini Veterinaria, & la medicina del corpo humano. ciaschedupage 71na delle quali si sforza di ridurre il suo subbietto a quella perfettione che gli è possibile. l'Agricultura cerca questa perfettione nelle piante, la Pastorale ne greggi & armenti, la Veterinaria ne suoi animali, & la Medicina nel corpo humano.
Di quì auuiene, che se la natura per qual sia cagione, commette alcun' difetto in vno di questi subbietti, l'artefice cerca correggerlo. come per essempio. la natura fa le piante de' frutti saluatiche, l'agricultura con l'arte gl'innesta & gli cultiua addomesticandogli. occorre che alcuni nascono senza capelli, con le dita non spiccate l'vno dall'altro, co 'l sesso non forato, con il bellico sciolto come accade vniuersalmente a ciascheduno: l'arte della medicina corregge tutti questi errori fatti dalla natura: & cosi parimente le altre arti sopradette, correggono i difetti che la natura commette ne i loro subbietti. di quì appare che quello che è fatto dalla natura, quando sia satto con qualche difetto, può correggersi con l'arte; & quando sia fatto senz'alcun difetto molte volte l'arte si contenta lasciarlo star cosi senza fargli altro attorno: ma quando volesse anco intorno a quello fare alcuna operatione, non gli è negato; come si vede nelle Donne, che per belle ch'elle siano fatte dalla natura, con l'arte ancora si fanno maggiormente belle. non è vero adunque che quello che è fatto secondo la natura, non si possa correggere con il mezzo di quelle cose che son' page 72fatte dall'arte.
Seguita appresso il titolo, di questa maniera. Et che non si può concluder bene dalle cose dell' arte in quelle della natura. ilquale per il contrario cosi doueua seguire.
Et che si può concluder bene dalle cose dell'arte in quelle della natura, & poteualo prouare con quest'essempio. il Medico si finge nella fantasia sua vna idea & forma di sanità tanto perfetta, è tanto stabile; che in natura non fu mai tale. da questa idea artifiziale di sanità, è lecitissimo, anzi necessario molte volte argomentare alla sanità naturale, che in atto si ritroua nè corpi humani. percioche la sanità che è in questo, & in quel particolare, è migliore o peggiore quanto più s'accosta o si discosta dall'idea sopradetta. è verissimo adunque che si può concluder bene dalle cose dell'arte in quelle della natura.
Vengo hora a discorrere intorno al detto sesto capo; & per dichiarirmi con quella facilità maggiore ch'io posso, lo diuiderò in più parti, o più clausole che dir ce le vogliamo; sopra ciascuna dellequali anderò discorrendo tutto quello ch'io giudicherò essere a proposito; cosi adunque comincia il detto Capo sesto. Et per applicare quello, c'habbiamo discorso a quello che segue, dobbiamo sapere; che sendo gli strumenti artificiali fatti ad imitatione di quelli che vsa la natura; tutte le fiate che i loro artefici & fabricatori vogliono correggere o migliorare alcuna cosa, laqual vedono mancare in essi, cercano di correggerla non con altro mezzo, che con l'essemplare & mopage 73dello fatto da essa natura; & quando li fa dibisogno di volere rendere alcuna ragione dell'opere loro, non si seruono mai se non di quei principi c'hanno cauato dalle cose che uogliono imitare.
In questa prima clausola, vuole il Zarlino persuaderci, che gli strumenti artifiziali si faccino ad imitatione di quelli che vsa la natura; ch'ei non si possin' correggere con altri mezzi che con i suoi, & di più che non se ne possa render' ragione se non con i suoi principij.
La onde io rispondendo dico, esser prima da sapere, che mai strumento alcuno fu fatto dall'arte, per altro fine che per l'vso che i doueua apportare: come per essempio; la sega fu fatta per segare, & il flauto per sonare. però l'vso che deue apportare lo strumento, è quel principio donde si trasse la fabrica di esso. di maniera, che ciascuno strumento all'hora stà bene, quando è atto ad apportare quell'vso che da lui si ricerca. sta bene adunque il flauto, sempre ch'ei può sonare com'il musico vuole; & sta ben la sega, tutta volta che con essa si può segare il legno. talmente che gli strumenti artifiziali, non si fanno mai ad imitatione di quelli che vsa la natura; percioche all'artefice non importa questa similitudine; ma gl'importa bene il poter conseguire con il suo strumento, il fine propostosi. quando poi i fabricatori di questi strumenti, vogliono correggere o migliorare alcuna cosa la qual manchi in essi, non possano altramente correggerla con l'essemplare o mopage 74dello fatto dalla natura come il Zarlino dice; ma si bene col riguardare al fine, o vero vso che s'aspetta da quello. & se vltimamente voglion renderne ragione, non la pigliano d'altroue che dal medesimo vso & fine di esso: dicendo di hauer fatto tale quello strumento, perche cosi haueua da essere a fare quella tal opera. non è vero adunque, che gli strumenti artifiziali, si faccino ad imitatione di quelli che vsa la natura, ne che si corregghino con il mezzo di lei, si come ne anco è vero che se ne renda ragione con i suoi principij.
Seguono appresso queste parole. Percioche sarebbe somma pazzia, quando volessero che fusse possibile come si è detto, che l'arte loro potesse arriuare doue la natura aggiugne, & che questa da quella potesse esser corretta; quantunque di cotali cose potessero con alcuni mezzi conuenienti tratti dal continouamente operare, renderne buon conto.
la massima di questa seconda clausola è, il voler che sia somma pazzia quella di coloro che dicono esser possibile che l'arte arriui doue la natura aggiugne; & che questa possa da quella esser corretta. hora s'io mostrerò non esser vero ne l'vna ne l'altra cosa di quelle che lui dice, sarà inditio manifesto di esser somma pazzia la sua; poi che mai intende cosa che lui dica se non al contrario di quello ch'ella è. che la cosa segua per l' opposito di quello ch'ei dice, si può conoscer da questo.
L'arte, & la natura sono cause operatrici, ciascuna delle quali nel suo genere è perfetta. page 75& quando accade (che in molte arti accade) che elle siano attorno al medesimo subbietto; auuiene che in esso molte cose può far la natura, che l'arte non può farle; & per il contrario molte ne può far questa che non le può far quella; come per essempio. Nel corpo humano la natura fa le cottioni degli humori crudi, che l'arte non può farle: ma nel medesimo subbietto, l'arte può rassettare l'ossa dislocate, che la natura non può rassettarle.
L'arte adunque in molte cose supera la natura & la corregge, & particolarmente in tutte quelle che il Zarlino per sostentatione de suoi falsi principij al contrario cerca persuadercele. in quelle poi doue questa da quella vien superata & corretta, sono in tutto & per tutto fuore de i suoi propositi.
nel fine della clausola dice, di hauer' tratto la certezza di queste sue conclusioni, dalla continua fatica fatta; laqual cosa è credibile, per hauer egli cercato di persuaderci le cose al contrario di quello ch'elle sono, al che fare ci bisogna veramente altro che parole; ma le vere & reali conclusioni delle cose sensate come queste, non è difficulta alcuna il persuaderle con i veri principij.
seguita il Capitolo così. Et se ben l'artefice spesse fiate (com'auuisa il Filosofo) supplisse in molte cose a' diffetti di essa natura, tuttauia quella imperfettione & quel difetto, ch'ei stima esser' nella cosa naturale, non l'imparò ne cauò semplicemente dall'arte, ma dalla natura; onde corregge semplicemente cotali difetti, page 76aiutato da i modi mostratigli come da sua maestra, della quale l'arte dipende, & è quasi come suo istrumento.
A questa terza clausola vengo a rispondere in tal maniera. L'arte può correggere molti de' difetti della natura, come già si è detto; & è vero come dice il Filosofo, che il fine della correttione s'imparò dalla natura; ma il modo poi del correggerlo, è tutto dell'arte. come per essempio. L'ossa dislocate si rimettono al luogo loro naturale, perche cosi stanno bene, & questo mostrò la natura: ma il modo del ristituirle tirando le membra, & raddirizzandole; & facendo le altre operationi necessarie, è tutto fatto dall'arte. non è vero adunque come lui dice, che l'arte corregga i difetti della natura secondo i modi da lei mostratigli; ma secondo i modi di ess'arte.
Soggiugne appresso. Però; si come sarebbe riputato stolto colui, che credesse che vn corpo humano, essendo in qualche parte difettiuo & difforme, si potesse far perfetto & ridurlo alla vera simetria & commisuratione, secondo il modello ch' ei vede in vna pittura d'un corpo naturale, come si fa perfetta & si corregge questa col mezzo di quello, ritraendolo dal viuo la mano di buon pittore & eccellente maestro, & reputato sauio quello, che credesse il contrario; cosi sarebbe riputato pazzo & fuor di senno colui che volesse pensare col mezzo degli strumenti fatti dagli artefici, di correggere l'istrumento della voce, fabricato dalla stupenda natura.
In questa quarta clausola mediantei suoi spropositi, ci saria molto da dire; & vepage 77do che quest'huomo si va lastricando vna strada per laquale non si ha da passare per giugnere al desiderato fin' suo, & lambichisi il ceruello quanto ei vuole. hora discorriamo prima intorno a quello che dice, & di poi intorno a quello che lui vuol dire.
dico prima, non esser cosa da stolto il credere che vn corpo humano difettiuo & disforme, si possa far perfetto con l'arte; poi che l'esperienza tutto il giorno ce lo dimostra; in quelli però doue non son vitti incorreggibili. ma se i difetti sono emendabili, l'arte della medicina (come si è detto) insegna correggerli; & stolto vien reputato quello, che crede altramente. gli strumenti artifiziali musicali, non son fatti per corregger gli strumenti che fanno la voce fabricati dalla natura; ma son fatti acciò che la voce precedente da quei tali strumenti naturali, impari abbassarsi, & alzarsi, & farsi acuta, & graue nel medesimo modo che habbianno fatto il suono nello strumento nostro artifiziale, & secondo che in questo & quel Sistema, o Sintono, o Diatono ch'egli sia, sono stati dal suo autore distribuiti & ordinati gl'interualli. i quali Sistemi & distribuitioni, sono tutti artifiziali; & da questi artifizij son corrette & regolate tanto le voci naturali cantandole, quanto gli strumenti fatti dall'arte sonandole. di maniera, che l'essempio della pittura in questo affare, è appunto l'opposito di quello che lui dice. perche il modello et naturale per dir cosi, page 78che cercano seco lui ritrarre hoggi le voci naturali, & gli artifiziali strumenti, è il Sintono di Tolomeo; & chi di queste lo fa più simile & più appunto, merita nome di più eccellente maestra. il non riuscir poi questo fatto come vorrebbe il Zarlino, viene dal mal disegno ch'ei cen'ha dato, & riuscirà in eccellenza, sempre ch'ei sia disegnato per il verso che io dimostrerò.
Con l'essempio della pittura, vuole di nuouo persuaderci che la natura superi l'arte; & viene a far' la comparatione dal viuo, al dipinto; laquale è tolta di peso dalle conclusioni del Dottor' Gratiano. & venendo al mio proposito dico, che se noi vorremo discorrer sanamente intorno all'arte, & al fine della Pittura, diremo dopo hauerlo ben' considerato & inteso, che nel suo genere possa & sia perfetta molto più della natura; come da essa & dal suo fine possiamo conoscere. il fine adunque della Pittura, e vna imitatione con lineamenti, & con colori, non solo di tutte le cose naturali, & artifiziali; ma di tutte quelle che è possibile a imaginarsi. & quella parte che la nostra vista può desiderare da i lineamenti detti, & da' colori, in qual si voglia corpo; la pittura non solo gliela rappresenta di quell'eccellenza che vsa la natura, ma la trapassa di gran lunga, & nella qualità, & nella diuersa quantità delle cose.
non vale adunque Messer Gioseffo, il dire; la natura fa gli huomini viui, & la pittura dipinti, più perfetti sono i viui page 79che i dipinti; adunque la natura nel far gl'huomini supera l'arte della pittura. il fin' della pittura non è di far gli huomini viui; ma solo d'imitargli talmente con la proportion delle linee, & con la conformità de colori, che a gl'occhi paino viui. il Pittore dipignerà di maniera vna donna bella, che mai in natura gl'occhi videro (per quanto s'aspetta dalle linee, & da' colori com'io ho detto) donna bella quanto quella: & l'istesso farà delle piante, & degl'animali. & doue la natura quella eccessiua bellezza in vn corpo animato, o inanimato: rationale o irrationale, la fa di rado il Pittore eccellente la farà sempre ch'ei voglia in tutte le cose & in ciascheduna lor parte: oltre a quelle ch'ei può fuor della natura fingere a modo suo.
Non è vero adunque (tornando a' due capi principali della detta clausola) che i corpi humani difettiui non si possino con l'arte ridurre alla vera Simetria come dice il Zarlino; ma è ben vero che gli strumenti musici artifiziali correggono non solo i naturali delle voci, non dico io, quanto alla materia del suono; dico quanto alla forma degl'interualli: & di più, che da essi imparano il modo di dargli quelle forme che si desiderano in essi, & se non da quelli, l'imparano almeno da chi da essi gli ha prima apparati: possiamo adunque; con verità dire, di hauer dalla natura la materia, che è il suono tanto delle voci quanto delle corde, & dall'arte la forma di qual sia interuallo tanto page 80consonante quanto dissonante; & ciò sia suffiziente risposta per la quarta clausola detta.
Seguita appresso il suo capitolo di questa maniera. Percioche se altramente auuenisse, si potrebbe dire, che fusse vn di nuouo ritornarsi al principio; essendo la pittura imitatione solamente di quello ch'è vscito da cosa naturale; & sarebbe vn tentare di voler deuiarlo dalla propria natura & dal proprio fine.
Alla replica del qual suo sproposito, rispond'io non esser vero, che la pittura sia imitatione delle cose naturali solamente; imperoche al Pittore è lecito fingerne infinite fuor di quelle che sono nella natura. & si come non è vero questo, non è vero ne anco (che qui tende il suo fine) che le voci naturali possino più degl'artifiziali strumenti, nel darci l'essatta forma di qual sia interuallo musico, anzi questi superano di gran lunga quelle come di già si è detto. ne per dire di esser' si fatto l'ordine delle cose, è vn voler deuiarle dalla propria natura; ma è vn voler conseruarle nell'esser loro naturale: & auuerrebbe quello che lui dice, sempre ch'ei si volesse le cose fuor dell'ordine naturale ch'elle sono, come le vorrebbe lui fuor d'ogni ragione.
Seguita poi così dicendo. Ma per applicare ancora questo ragionamento al nostro proposito, dico, che non bisogna che alcuno creda ne s'imagini di potere nella musica semplicemente render' ragione esatta della certa & vera forma delle consonanze, che nascono dalle voci, applicandole a' suoni che nascono dagli strumenti artifiziali, come page 81hanno detto alcuni troppo sauij, perciò che queste non son vere & naturali, ma si bene allora quando egli applicherà i suoni alle voci, cioè l'artificiale al naturale.
A questa sua ingegnosa clausola io rispondo di questa maniera. le consonanze che nascono dalle voci, non nascono dalla natura più che si nascha quelle che ci danno le corde, percioche la natura fa gli strumenti vocali, & per conseguenza la voce; ma l'alzarla, & abbassarla secondo che vuole; gl'auuiene per hauerlo apparato dall'arte. può adunque hauere apparato appuntino quell'istesse consonanze che sono in uno strumento, & perciò come si rende l'esatta ragione della forma delle consonanze di esso per la stabilità loro, & siano di qual si voglino, la medesima precisa sarà quella delle consonanze che sono nelle voci, sempre dico ch'elle le cantino di quella misura ch'elle sono contenute in quel tale strumento.
le consonanze adunque delle voci, si possano chiamare naturali quanto alla materia loro cioè quanto alla voce che è cosa naturale, come sono anco naturali le mani del sonatore di qual sia strumento: ma l'alzar o abbassar la voce a determinate consonanze, dandogli più quella forma che vn'altra o il toccare, o percuotere con le dita più quella corda o tasto d'vn'altro, son cose tutte artifiziali. & in questo medesimo modo si può dire della fauella, che sia naturale, & artificiale. è naturale page 82solo quanto alla materia, cioè la voce fatta come si è detto, dagli strumenti naturali atti a far la voce, & di più articolata; ma tutto il resto è artifiziale; cioè articolata più in questo che in quell' altro modo, & che articolata in questo o in quel modo significhi questo o quel concetto dell'anima.
Più oltre, lui dice che non si potrà render' ragione delle consonanze che nascono dalle voci applicando i suoni alle voci, cioè l'artifiziale al naturale, nel qual detto è d'auuertire, che se applichiamo i suoni artifiziali dello strumento alle voci; se queste voci concorderanno con quei suoni, haueranno le medesime ragioni (com'è detto di sopra) di quei suoni; & le voci saranno artifiziali, poi che dall'arte hanno apparato apportar le simili a' detti suoni: ma se le voci non saranno concordate con quei suoni, non saranno queste quelle voci alle quali quei suoni si doueuano applicare; & perciò non si potrà mai di queste voci renderne la medesima precisa ragione che di quei suoni, poi ch'elle saranno da quelli diuerse.
è ancora d'auuertire, che se delle consonanze che nascono dalle voci, non si può renderne (secondo che lui dice) ragione esatta è certa della forma loro, & si di quelle degli strumenti artifiziali; tuttauolta adunque che si applicheranno quelle a queste, si potrà molto ben renderne ragione & non per il contrario come hanno detto alcuni page 83troppo pazzi. il render ragione esatta della misura & forma di qual sia cosa, non è di mestiere che quella tal misura & forma sia la vera & naturale; perch'io posso molto ben render ragione esatta della forma & misura d'vn huomo mostruoso, senza saper ne anco qual sia quella del ben proportionato.
Se il Zarlino vltimamente conosceua esser' come lui dice, impossibile di poter' render ragione dell'esatta forma delle consonanze che nascon dalle voci, perche ci ha egli detto che le voci cantano il Sintono di Tolomeo? cosa tanto limitata determinata & certa. tutta questa confusione nasce dal falso principio, come nel fine di questo mio Discorso son per dimostrare. Non è vero adunque che non si possa render ragione esatta degli interualli de' suoni degli strumenti artifiziali senz'applicargli alle voci naturali; ma è ben vero per il contrario, che non si può render ragione dell'esatto degli interualli delle voci, senza applicarle a' suoni degli strumenti artifiziali.
Soggiugne appresso. Veramente è ben cosa da ridere, c'habbian voluto & creduto che le consonanze prodotte dalle voci naturalmente nelle lor vere forme, siano per lor natura tali, che ritenghino tra loro quelle forme & proportioni istesse, c'hanno le prodotte da' suoni d'alcuni strumenti artificiali, temperati ne' loro interualli fuori delle vere & naturali proportioni, secondo che ricerca & comporta la natura dirò cosi & disposicione loro.
Vedete page 84come Messer Gioseffo (& ciò replica nel capo decimo del quarto) in questa settima clausola si mostra baldanzoso; & quello che lo vedesse & vdisse, & non l'intendesse (come accade a quelli della sua Chriocca) crederebbe ch'egli hauesse tutte le ragioni del mondo: hora ascoltimi vn poco di gratia che presto presto gli s'abbasserà il rigoglio.
Le consonanze non son prodotte dalle voci nelle lor vere forme naturalmente; ma artifizialmente per la lunga prattica appresa dall'arte del ben cantare: si come anco le mani dell'eccellente sonatore son diuenute tali per il lungo esercitio appreso dall'arte del ben sonare, & non che elle naschino naturalmente tali come uuole il Zarlino: ma nascono bene atte a farsi tali co 'l mezzo dell'arte, pur hora ha detto quest'huomo. che delle consonanze che canton le voci non si può render esatta ragione della forma loro; & al presente soggiugne che le consonanze che cantan le voci sono nelle vere forme loro.
ma lasciamo questo da parte & venghiamo noi a dire, che non è alcuno da lui in fuore, c'habbia voluto che le consonanze prodotte dalle voci, habbino per lor natura l'istessse proportioni che hanno le consonanze degli strumenti temperati secondo le regole loro: & qual sia la sua leggerezza, si può conoscer di quì. il Sintono che fece Tolomeo, è vn' solo; ne può per l'ordinario hauere nel tutto page 85& nelle parti altra forma che quella che gli dette il suo autore, che è vna limitata & determinata dall'arte di lui drento a quelli numeri & proportioni nelle quali fu costituito da esso. ha quest'huomo in mille luoghi detto, che quello che si suona & che si canta hoggi, e tutto Sintono di Tolomeo, il che afferma in questo istesso capo; & al presente dice esser cosa da ridere il voler' che le consonanze prodotte dalle voci naturali habbino la medesima proportione di quelle de gli strumenti artifiziali.
hora se il Sintono è vno, et che le voci lo cantino, & gli strumenti lo suonino puntalmente com'egli stà; il che molto bene possano l'vn & l'altro fare; bisogna necessariamente che cantando & sonando i medesimi interualli fra di loro siano concordanti. atteso, che tuttauolta, che due cose siano ciascheduna di loro vguali a vna terza, sono necessariamente vguali fra di loro. ma lui secondo ch'ei dice vuole, che la voce fabricata dalla stupenda natura, per virtù della fata Morgana, habbia naturalmente, (& non per hauerl'imparato dall'arte) facultà di formare qual si voglia interuallo musico in tant'eccellenza che l'arte non ci aggiunga.
Hora se la cosa è come lui dice, che occorre dire che le voci cantino il Sintono, o il Diatono, o altra spezie di armonia piena di mille imperfettioni: basti a dire che le voci cantano naturalmente gl'interualpage 86li musici di quella più eccellente misura che gli huomini si possino mai imaginare; perche la natura supera infinitamente l'arte: lasciando ancora da vn de lati il numero senario, & i numeri armonici, & i generi delle proportioni, & procurar solo di chi senza più oltre cercare glielo creda, & il tutto vien' poi benissimo accomodato. Ma questa sua intemerata, è la più ridicola cosa che mai si sia imaginata huomo, & da non essergli creduta ne anco da quelli c'hanno della fata Morgana paura.
Ha ben creduto (tornando al principal mio intendimento) & voluto alcuno, che ha inteso bene le cose; che le consonanze delle voci, habbino le medesime proportioni che le consonanze degli strumenti artifiziali, tuttauolta però che le voci si porteranno secondo che sono distribuiti i suoni negli strumenti: ma se lo strumento hauerà distribuiti i suoni in vna forma, & le voci declineranno ad vn'altra, non saranno all'hora le proportioni medesime, & conseguentemente non accordano insieme. & il credere le cose fuor dell'esser ch'elle sono, & diuerse dalla natura loro, & dal possibile, è cosa peculiare della natura sua.
Hor'vdiamo quest'altra conclusione. Il perche ingannati da questo falso principio, si hanno sforzato di dimostrare in molti modi ciò esser vero.
Non si e sforzato alcuno di dimostrare che le proportioni delle voci, siano le medesime page 87che quelle degli strumenti sempre & naturalmente; perche negli strumenti si distribuiscano i suoni ad arbitrio del musico formante è temperante lo strumento a modo suo; & le voci ancora loro si portano alte & basse secondo che il cantore (dopò l'hauere apparate) vuole. ne fra le proportioni delle consonanze strumentali, & vocali, è connessione alcuna naturale: ma tutta artifiziale & volontaria. di maniera che il Zarlino solo, & i suoi Chrioccanti restano di questo fatto ingannati da suoi falsi principij.
Seguitano appresso nel detto capitolo queste formate parole. Onde hanno tenuto per fermo, che non si canti ne si suoni, ne si compona per alcun modo la spezie naturale Sintona di Tolomeo; credendosi, che tanto quelli interualli che nascono dalle voci, quanto quelli che si fanno per i suoni, siano contenuti nella specie antica del Diatono diatonico, & anco in altre specie: quantunque nell'Istitutioni, & nelle Dimostrationi mi sia sforzato con ogni maniera di ragione di fargli conoscere, ciò non esser vero.
Che non si componga, ne si suoni, ne si canti il Sintono di Tolomeo, non è inferito dalle cose dette da lui di sopra come non attenenti punto a questo proposito; ma da quell'altre ragioni da lui per ancora lasciate nel suo vigore.
Che quello che si suona & si canta hoggi non sia l'antico Diatono Ditonico, è vn'impertinenza il trattarne, mediante l'hauere le consonanze imperfette dissonanti; doue quelle che vsiamo hoggi & tra le voci, e page 88tra le corde sono consonanti; però tutto quello che di questo fatto dice al presente, è solo per aggirare i balordi.
Hor venghiamocene alla decima clausola vota di sentenze & piena di parole otiose quant'alcun altra; ed è tale. Et tanto maggiormente restano ostinati, quanto nell'ordine artifiziale di cotale specie hanno ritrouato molte imperfettioni, & molti interualli che non seruono al Sintono; per esser contenuti da altre forme, che da quelle che sono tra le parti del Senario: laonde hanno sopra di questo Discorso mille cose ridicolose & fuore d'ogni proposito, & concluso molte & molte cose vane, come si vede ne i loro scritti pieni di mille sogni: ancora che di questo potessero esser chiari col mezzo de gli accordi fatti da loro in molti strumenti ne i quali si conosceuano le terze, le seste, & le loro replicate essere consonanti, & lo poteano imparare da' principij, che pigliano per concludere & condurre al fine le loro dimostrationi, i quali dicono & affermano, che cotali interualli sono dissonanti, & poteano sapere, che ciò non potea esser vero appatto alcuno.
Hor ecco la risposta. Tra qual' ordine artifiziale si trouano quelle molte imperfettioni che lui dice? Se fra il Diatono è vn impertinenza il parlarne, perche la lite è tra il Sintono, & quello che noi cantiamo hoggi. Se quelle tali imperfettioni sono nel Sintono che vuol egli inferire quando ei dice ch'elle non seruono al Sintono?
Horsu ch'io l'ho ritrouata. vuole il Zarlino che quando si canta il Sintono, si piglin solo quegl'interualli consonanti di esso che si tropage 89uano tra le parti del Senario. hor quando questo gli si conceda, quelle quinte & quelle quarte, & quello terze maggiori & minori dissonanti che si trouano tra le corde del medesimo Sintono, & le forme loro fuore delle parti del Senario, che sen'ha egli a fare? vuol' ch'elle si faccino della misura dell'altre che sono consonanti contenute tra le parti del Senario. noi torniamo a le medesime.
quello adunque che noi canteremo non è il Sintono come ce lo disegna il Zarlino & Tolomeo, ma un altra distribuitione di corde. imperoche Tolomeo dopò che hebbe ordinato & distribuito il Sintono: non disse mai che si adoperassero di lui solo quegli interualli che si trouano tra le parti del Senario; & resto marauigliato che quest'huomo habbia tanto ardire di cercar di nuouo persuadere al mondo queste sue leggierezze che va egli in oltre farneticando in sogno gli spropositi ch'ei soggiugne degl'accordi de loro strumenti, mescolando indistintamente (come quello che non sa che dir si uoglia) il Sintono, co 'l Diatono, con l'accordare & discordare degl' interualli, che non gli tachapezzerebbe la carta da nauicare. hor' uuol egli ch'io gli dimostri necessariamente, quando anco gli si conceda tutto quello che fuor di ragione uorrebbe che nella maniera di cantare queste tant'arie insieme che non si cantino gli interualli consonanti della misura che son' contenuti tra le parti del Senario sopra page 90il quale ha fatto tanto schiamazzo.
Hora cauimi un poco delle quindici corde del Sistema massimo, gl'estremi delle quali sono in quadrupla proportione, tre contigue sesquialtere & una sesquiquinta, o ueramente quattro sesquiterze & una sesquiquarta, come nel capo undecimo del quarto ua chiachierando senz'alcuna uera conclusione. & all'hora crederò che 'l numero Senario è la stupenda Natura, insieme con la fata Morgana possino fare i miracoli che lui dice. ma ei non è possibile, dalle parti del Senario ne da qual si uoglino altri numeri che siano nella natura di esse, hauere le consonanze perfette, & l'imperfette successiuamente che consuonino, perch'ei non ne sono capace. ma bisogna necessariamente che consonando tutte le perfette, venghino dissonanti parte dell'imperfette, & chi tutte queste vuole consonanti, dissoneranno parte di quelle; come da' sottoposti essempij si può chiaramente raccorre. page 91
  • aa. 40
  • Sesquialtera.
  • d. 60
  • Sesquialtera.
  • G. 90
  • Sesquialtera.
  • C. 135
  • Sesquiquinta.
  • A. 162
  • aa. 40
  • Sesquialtera.
  • d. 60
  • Sesquialtera.
  • G. 90
  • Sesquialtera.
  • C. 135
  • 32. 27. Semiditono dissonante.
  • A. 160
page 92
  • aa. 324
  • Sesquiquarta.
  • f. 405
  • Sesquiterza.
  • c. 540
  • Sesquiterza.
  • G. 720
  • Sesquiterza.
  • D. 960
  • Sesquiterza.
  • A. 1280
  • aa. 320
  • Super 17. partiente 64. Ditono dissonante.
  • f. 405
  • Sesquiterza.
  • c 540
  • Sesquiterza.
  • G 720
  • Sesquiterza.
  • D 960
  • Sesquiterza.
  • A 1280
Et se Distribuitione alcuna di corde ci hà dare demostratiuamente tra corde stabili vna sola Constitutione, non è altra che l'Incitato d'Aristosseno. Gli interualli musici, poi tanto sono naturali (com'io ho detto) quelli contenuti tra le parti del page 93Senario, quanto gl'altri che son fuore di esse parti. è tanto è naturale il Ditono contenuto dalla sesquiquarta quanto, quello che è contenuto dalla super 17 partiente 64. si come ancora tanto è naturale l'accordare dell'ottaua drento la dupla, quanto è naturale il dissonare della settima drento la super 4. partiente quinta: & rompi si pur'il Zarlino la testa quanto vuole.
Soggiugne appresso l'vndecima clausola cosi dicendo. Et per concludere, dico, che è pazzia espressa, il credere che si possa correggere la natura. come ch'ella fusse inferiore all'arte; & che questa si possa agguagliare à quella.
Pazzia espressa è veramente la sua hauendo di sopra co 'l Filosofo affermato che la natura errante in quello però ch'ella è emendabile, può esser' corretta dall'arte; & hora negha ch'ella poss'esser corretta dall'arte; com'inferiore a lei. non si accorgendo, che in tutto quello che può l'arte & non la natura, l'arte è superiore alla natura; & in quello che può la natura & non l'arte, l'arte è inferiore alla natura. adunque la natura, sempre ch'ella vien corretta dall'arte, gli auuiene per essergl' inferiore.
Va appresso seguendo così. Percioche si come il naturale è di gran lunga differente dall'artificiale, & specialmente nel genere; cosi sono molto differenti, come operanti & efficienti la natura & l'arte.
Al che rispondendo dico. la natura & l'arte sono due cause effcienti, ciascuna delle quali è perfetta nel suo genere: la natura nel far le cose naturali, & l'arte nel far le cose artifiziali; & in questo mopage 94do nel fare le cose naturali l'arte non può aguagliarsi alla natura; & nel far l'artifiziali la natura non può agguagliarsi all'arte. quando poi auuiene che questa & quella operino attorno al medesimo subbietto, nasce dal poter farui qual cosa l'arte che non può far la natura, & qual cosa potrà farui la natura che non potrà far l'arte; ne alcuno è che non sappia la differenza che è tra di loro, la qual differenza vuol'egli porre doue ella non è, & non fu mai, cioè tra gl'interualli musici. imperoche lui vuole, che vna quinta, vna quarta vna terza & altro; sia naturale nelle voci, & artifiziale negli strumenti tra le corde; & io torno a replicare, che il suono, & la voce, come materia di essi interualli è naturale, tanto in questi quanto in quelli; si come anco è naturale che di questa misura consuonino, & di quell'altra dissuonino, la qual misura è artifiziale tanto tra le voci naturali, quanto tra le corde degl'artifiziali strumenti come si è detto, e troui pur il Zarlino quanti arzigogoli ch'ei vuole.
Soggiugne appresso. Et si come non può essere, che la natura operatrice imiti l'arte nell'operare; cosi non si può dall'arte concludere alcune cose nella natura, che non sia fuor di proposito.
Laonde io rispondo esser vero, che la natura operatrice non imita l'arte ordinariamente, perche ella opera senza cognitione; ma in processo di tempo la natura ancora s'auuezza ad imitare l' arte nel suo operare: come auuenne a' Macrocepage 95fali, de' quali parla Hippocrate: & non per questo ne segue, che non si possa concludere alcune cose dell'arte in quelle della natura; come si è prouato di sopra.
Soggiugne dipoi. Il perche se per auuentura alcuno da vna cosa dell'arte, come ho detto, o vero dall'artificiale vorrà argomentare & concludere in vna cosa della natura o nella naturale, verrà (per modo di dire) à volere concludere dalle cose contenute in vn genere a quelle che son' contenute in vn altro.
Queste cosi sottili distintioni dichiarano Messer Gioseffo vn Filosofo molto penetratiuo; ma auuertisca di gratia, che il non passare da vn genere nell'altro, secondo il precetto d'Aristotele nella Posteriora; s'intende in quei generi ne' quali non è fra di loro occasione alcuna di passare d'vno nell' altro: ma nell'arte & nella natura, perche tal volta (come si è dimostrato) hanno il medesimo subbietto; per la comunità di quel subbietto, nasce occasione di passare & argomentare dall'vno di quelle due nell'altro, senza guastar punto l'ordine della filosofia. è però da ringratiarlo dell'auuiso. & d'hauer piacere di veder lui zelante intorno alla conseruatione dell'ordine delle cose, quantunque il suo modo sia più tosto vn destruggerle che vn conseruarle.
Soggiugne appresso quest'altro bello auuertimento. Però nella musica non si potrà mai dire che stia bene, nell'istrumento artificiale tra i suoni sempre si troua cotal cosa & cotal diffetto, adunque si troua anco sempre tra le voci. Simigliantemenpage 96te; questa cosa non si troua nello strumento artificiale; adunque non si troua anco nel naturale.
Alquale io replico che stà molto bene il dire, nello strumento artifiziale sempre si trouano cotali difetti; come auuerrebbe sonando puntalmente il Sintono da lui disegnatoci; adunque sempre si troueranno tra le voci gli stessi difetti che ha in se il Sintono, tutta volta ch'egli fusse puntalmente cantato da esse come sonato. ma se gli strumenti soneranno alcuna distribuitione in tutte le parti perfetta, come veramente possano, ma non secondo la regola del Zarlino. & le voci ne canteranno vna imperfetta, chi è quel tanto insensato da lui impoi, che dica ch'elle siano le medesime quando le sono differenti?
Soggiugne appresso vna di quelle sue repliche importune cosi dicendo. Ancora, negli strumenti artifiziali non si troua & non si suona la spezie natural Sintona di Tolomeo, adunque non si canta ne si compone la detta spezie.
Alla qual replica rispondo ch'egli l'ha con quel Sintono naturale, et con quel Sintono artifiziale; & io torno a dire che Tolomeo fece vn solo Sintono Diatonico, al quale non dette nome ne cognome alcuno di naturale ne d'artifiziale. il dir poi, che cosi piace a lui, mi pare la medesima ragione che vsaua Orlando nel colmo del suo furore; & se al suo scampo non ha altra difesa che questa; più honore era il suo acconsentire alla verità subbito che conobbe d'essere in errore, che cercar di difendersi con page 97mezzi come questi, da fare l'offesa maggiore.
Laonde io vengo a dire, che la spezie Sintona di Tolomeo, si trouerà in quegli strumenti artifiziali, sempre che i suoni loro siano diuisi secondo gli interualli posti da Tolomeo in quella tal distribuitione: & gli strumenti che saranno altramente diuisi, non vi sarà mai appatto alcuno; & il medesimo auuerrà delle voci.
l'vltima clausola del Capitolo è tale. Per la qual cosa tutte le fiate che alcuno vorrà da questo fondamento, ouer ordine arteficiale del Sintono concludere alcuna cosa dell'ordine naturale; il che è da notare, per le cose seguenti; si potrà dire, che habbia vn grandissimo ramo di pazzia, & che tutte quelle ragioni & Dimostrationi ch'ei farà, o con numeri & proportioni o con misure, saranno vane & inutili, & non hauerà alcuna buona cognitione delle cose, della quale si generano tutte l'arti è tutte le scientie.
Paru'egli che Messer Gioseffo potesse per vltima trouare conclusione più sensata di questa? hor attenda la risposta.
L'ordine del Sintono è tutto artifiziale fatto dall'artifizio del medesimo Tolomeo: & se questo si sonerà con gli strumenti, saranno fatti gli strumenti con quelle diuisioni medesime che fu diuiso il Sintono da esso Tolomeo; & s'egli si canterà con le voci, se ben le voci sono naturali, si canterà nondimeno secondo l'artifizio imparato dal cantore circa il portar delle voci precisamente secondo quegli interualli de quali è composto, se però vorranno al suo imperfetto page 98acconsentire di maniera che questo tal Sintono, o qual si vogli altra distribuitione di corde, o siano cantate, o siano sonate sempre saranno artifiziali, & sempre haueranno quelle consonanze & dissonanze che v'istituì il loro autore; senza hauerui parte alcuna, il numero Senario, o altre Zarlinesche impertinenti innouationi.
è però notabil pazzia il credere, che questo tal Sintono sia artifiziale sonato con gli strumenti, & naturale cantato con le voci; essendo che le voci mai lo canteranno, se con lunga prattica non l'hanno prima dall'arte del cantare apparato. & se alcuno mi replicasse, che quelli che per le contrade delle cittadi vanno gridando, & cantando i nomi delle cose ch'ei vendono, & degl'esercitij loro, procedon pur naturalmente senz'hauerlo dall' arte apparato per tuono, per semituono & altro interuallo maggiore di questi composto. gli risponderei che s'ei gli descriuesse della precisa misura che da loro vengon cantati, & gli comparasse a i veri, vi scorgerebbe differenza maggiore che tra gl'animali, gl'vccelli, & altro che per ischerzo dipigne alle fiate la natura ne marmi mischi, & nelle vene & nodi del Frassino & dell' Vliuo, comparati a quelli che sono da dotta mano disegnati & coloriti. il perito cantore è quello poi, che nell'imitargli burlando, o per altro suo comodo, gli fa diuenire dalla vera misura; si come ancora megliorano gl'artefici con gli artifipage 99zij loro, il disegno & il colorito degl'animali & degl'vccelli sudetti. il riso & il pianto è naturale a gli huomini. Messer Gioseffo, & si ride & si piagne naturalmente senz'hauerl'apparato dall' arte; ma il cantare, & vie più regolatamente, s'apprende dall'arte. & quantunque la materia del cantare che è la voce come si è detto, si habbia dalla natura, il saper poi a posta sua formar gl'interualli tanto consonanti quanto dissonanti & siano pur di qual si voglino misura & proportione, si apprende dall'arte.
Di maniera che tutte le ragioni che il Zarlino potesse addurre dependenti da questi suoi falsi principij, sopra i quali è (secondo che lui dice) fondata quasi tutta l'opera sua, saranno vane & inutili, con le quali verrà di mano in mano a dichiararsi maggiormente per huomo senza cognitione alcuna del vero delle cose; delle quali si generano tutte l'arti è tutte le buone scienze. & quant'ho detto intorno all' opere di esso, sia suffiziente per hora, perche altra volta con migliore occasione ne ho da trattare più allungo.
Laonde riuolgendo altroue il mio ragionamento vengo à dire, che se bene nel mio Dialogo dell'antica & della moderna musica & di nuouo in questo mio Discorso, io ho dimostrato che la spezie di harmonia che si canta hoggi non è (secondo però che il Zarlino ce lo disegna) il Sintono di Tolomeo; non per quest'ho (come cosa fin ad hora a me non attenente) dimostrato page 100qual sia. però voglio al presente per sadisfattione maggiore degli studiosi di questa facultà, con quella breuità maggiore che mi sarà conceduta, dimostrarla. & ciò farò a richiesta di quelli che credono la perfettion di questo negotio consistere nella stabilità delle corde dimostrabili, & mi è per sortire senza molta difficultà, dopò che si sarà inteso le diuerse openioni c'hebbono gl'antichi Musici & Filosofi intorno le Diatoniche loro distributioni, et di quì cominciandomi dico, che tra le diuerse spetie d'armonia che furon distribuite & ordinate dai sopradetti Musici & Filosofi, tre sono state le più famose.
fu la prima quella di Pitagora, o per meglio dire quella che lui credette che si cantasse ne suoi tempi; laquale come copiosa di Tuoni si acquistò nome di Diatona Ditoniea. fu la seconda quella di Didimo, & la nominò Diatonico Sintono: ilquale dopò molt'anni si attribuì Tolomeo, o gli fu da altri attribuito per suo. la terza & vltima fu quella d'Aristosseno, detta da lui Diatonico Incitato: ne altro fine hebbero quei Musici & insieme Filosofi, nell'ordinare le loro Distribuitioni, che rappresentare al senso & all'intelletto, di qual misura & proportione fussino, o douessino esser cantati da i prattici gl'interualli.
laquale speculatione, è degna veramente di gran lode di ciascun' di loro. percioche con essa & non con altro mezzo si è potuto sin ad hoggi nelle nostre page 101memorie conseruare qual fusse o douess'essere secondo i diuersi pareri loro, la forma precisa di ciascheduno de' detti interualli. con il qual mezzo si può con poche parole trasferire da qual si voglia luogo ad vn altro, il modo del cantare, & il temperamento di qual sia strumento musico & di fiato, & di corde.
Pitagora adunque, nel cercar l'esatta forma degli interualli musici de suoi tempi, come grand'Aritmetico che lui era, hebbe come scopo degno, solo la mira alla ragion de numeri. nella quale fondatosi, ordinò la sua Distribuitione di corde secondo ch'egli credette che si cantassino gl'interualli detti; o pur secondo che gli fu di mestiere a colorire i suoi disegni.
Didimo poi nella Distribuitione del suo Sistema, hebbe il medesimo rispetto à i numeri: ma non con seuerità tale ch'ei non cercasse più di quello che cercato haueua prima Pitagora, di sadisfare com' in parte ei sadisfece con il lor mezzo al senso dell' vdito.
Aristosseno vltimamente con voglia maggiore di alcun altro antico Musico di sadisfare al medesimo senso, conosciute l'imperfettioni (quanto al modo del cantare in consonanza più arie insieme hoggi si costuma) delle due Distribuitioni circa il potersi dimostrare tra corde stabili, cercò la cosa altroue, & dou'ell'era veramente; la qual' trouata al fine si contentò, senza pregiuditio alcuno della ragione, & con poca del senso, dell'vdito, che la sua fusse tale, quale si poteua & page 102dalla natura della cosa dond'ei la trasse, & dal bisogno suffiziente dell'arte del dimostrare hauere & desiderare.
Hora per intelligenza maggiore di questo fatto è da sapere, che auanti che Pitagora nascesse, si cantaua, & si sonaua secondo l'openioni diuerse de Musici, & all'vnisono, & in consonanze. è da sapere in oltre, che i Musici medesimi, nominauano gl'interualli loro con nomi corrispondenti à questi nostri; parte de quali habbiamo tolto in prestanza da loro. com'è Tuono. Semituono. Tritono. & Semidiapente. Hebbono appresso il Ditono, & il Semiditono conrispondenti alla Terza nostra maggiore, & alla minore. quelle poi che noi domandiamo Quarta, Quinta, & Ottaua; le disser' loro Diatessaron, Diapente, & Diapason. quelle in oltre che furon dette da loro Hexachordo maggiore, & Hexachordo minore; son da noi chiamate Sesta maggiore, & Sesta minore, & quelli vltimamente che noi domandiamo Settima maggiore, & Settima minore, furon da lor' dette pur del numero delle corde, Heptachordo maggiore, & Heptachordo minore. & quantunque i nomi de nostri interualli conrispondino com'io ho detto, a quelli degli antichi, non perciò sono i medesimi di quelli che contengono i numeri Pitagorici.
Sapeu'adunque Pitagora tutti questi particolari, & in oltre che il Tuono era quell'eccesso di che la Diapente supera la Diatessaron; & che page 103il Semituono era quello spazio per dirl'alla nostra vsanza, che si troua tra b. fa & b mi, o pur vogliamo dire quello interuallo di che la Diatessaron supera il Ditono. con tutta questa cognitione, non perciò sapeua Pitagora di qual proportione, & misura fusse alcuno di essi interualli, ne di quanto l'vno misuratamente superasse o fusse dall'altro superato: ma n'hebbe contezza poi, dal suono & peso de' martelli, come ci racconta Boetio col testimonio di Macrobio, con il qual mezzo seppe, che la Diapente era nell'estrema sua perfettione contenuta dalla Sesquialtera, dalla Sesquiterza, la Diatessaron, & dalla Dupla il Diapason parimente nell'estrema sua perfettione. io ho vsato questo epiteto di estrema perfettione in proposito della Quinta & dell'Ottaua, perche più tese non si comporterebbono, ma si bene più rimesse.
Sapend'adunque Pitagora che il Tuono era quell'eccesso di che la Diapente supera la Diatessaron, non fu difficile dipoi nel sottrar' la forma di questa da quella, venire in cognitione com'ei venne, da qual proportion' (oltre hauer prima conosciuto dal suono & peso de' martelli, se non cosi l'essatto almeno ad esso vicino) fusse contenuto. & con questi & altri più efficaci mezzi, ritrouò Pitagora la forma di tutti gli altri interualli; secondo però la credenza di lui & la capacità della facultà aritmetica.
nel qual luogo voglio auuertire due false openioni nate negli huomipage 104ni, persuasi dagli scritti di alcuni, nelle quali sono stato ancor'io, di che sendomi ultimamente accertato con il mezzo dell'esperienza delle cose maestra, dico cosi.
Credano che i pesi i quali Pitagora attacò alle corde per meglio vdire le consonanze: fussino i medesimi di quelli de martelli da quali prima vdite le haueua. hora che questo non fusse ne poss'essere in modo alcuno, l'esperienza (com'io ho detto) ce lo dimostra. imperoche colui che da due corde d'ugual lunghezza, grossezza, & bontà, vdir volesse il Diapason, gli sarebbe di mestiere sospenderui pesi che fussino non in dupla (come erano i martelli) ma in quadrupla proportione. la Diapente si vdirà tuttauolta che alle medesime corde si sospendino pesi di proportione dupla sesquiquarta. la Diatessaron da quelli che fussino in supersette partiente noue. & il Tuono sesquiottauo dalla superdiciasette partiente sessanta quattro. con il qual modo, che altro non è che il moltiplicare i numeri che formano detti interualli secondo l'aritmetica facultà, si haueranno tutti gli altri. non è uero adunque (& questo è l'altro abuso) che le consonanze non si possino hauer' da altri generi di proportioni, che dal moltiplice, & dal superparticolare. & tornando alle corde dico, che si potranno parimente hauer tutti gl'interualli dall'vgualità di pesi, sempre che la lunghezza delle corde conrisponda alla forma che gli interualli prendono dalla detta aritmetica fapage 105cultà.
Si hauerà dalle canne parimente il Diapason, sempre che la lunghezza & il vacuo o vogliamo dire il Diametro della graue, sia duplo dell'acuta. Si hauerà la Diapente da quelle che il diametro & la lunghezza sia sesquialtera. & la Diatessaron da quelle che il diametro, e la lunghezza loro sia Sesquiterza. Con la qual regola si haueranno tutti gli altri interualli consonanti & dissonanti. di maniera che il vacuo di queste conrisponde al Cubo. i pesi sospesi alle corde, alle Superficie. & le corde semplicemente tese nello strumento alla Linea. Laqual dottrina publicata per vera da Pitagora huomo di grandissima autorità, gli si prestò tanta fede, che ancor hoggi appresso alcuni si mantiene senza cercar più oltre; contentandosi solo che Pitagora l'habbia detto.
Ma quì sono due cose da considerare. la prima è, se gli interualli musici che si cantauano auanti che Pitagora inuestigasse la forma loro, erano realmente cantati di quella misura drento laqua le gli constituì dopò l'arte di lui: et la seconda da quello potesse auuenire, dato ch'egli vdisse le Terze & le Seste consonare negli strumenti & nelle voci, & dissonar quelle drento le forme assegnateli da lui; ch'ei non cercasse i mezzi di farle tali quali le vdiua fuore de suoi numeri, come fece dipoi Didimo. intorno alle quali considerationi dico, che gli interualli tutti; auanti che Pitagora venisse in cognitione della misura loro, page 106fussin' cantati da' prattici precisamente tali, non è verisimile, & particolarmente da quelli che cantauano in consonanza. quelli poi che cantauano all'Vnisono, può essere dopò l'hauer preso norma dalla sua Distribuitione, ch'ei temperassino i loro strumenti in quella precisa maniera, & insieme con essi cantassino poi nelle bisogne loro gli interualli di quella misura: ma da quelli che cantauano in consonanza non è credibile, ne anco possibile.
Prima per hauer' le Terze & le Seste dissonanti, & poi perche nel farle consonanti con il mezzo dell'aritmetica facultà era impossibile senza far' dissonante (come si è dimostrato) parte delle consonanze perfette. Da quello poi nascesse che Pitagora comportasse nella sua Distribuitione, dissonanti le Terze, & le Seste, vdendole fuor di essa d'altra forma consonare & nelle voci & negli strumenti, rispondo, che conoscendo egli con il mezzo de numeri essere impossibile tra corde stabili hauer' gl'vni & gli altri consonanti, volle più tosto consonanti tutti quelli, che da noi son detti perfetti, che parte di questi & parte degli imperfetti. imperoche ne propositi suoi, com'ancora si legge in Platone, & in Aristotile, non hebbono bisogno nel trattar le cose di musica incidentemente come trattarono, di seruirsi eccetto che delle consonanze da noi dette perfette, contenute dalle forme assegnateli da Pitagora. ne anco si preser' cura, se il Sistema page 107massimo era capace di tre Sesquialtere, o di quattro Sesquiterze, & d'altro; lasciandone (come non attenente alle loro speculationi,) il pensier a' prattici; & cosi parimente non pensorono al modo di far consonar quelle che da noi son dette imperfette consonanze. ne tengo io già che senza farn' esperienza, credesse Pitagora, che le Seste & le Terze consonanti che habbiamo detto cantarsi & sonarsi ne suoi tempi & auanti, fussin' contenute da i numeri medesimi di quelle della sua Distribuitione, come credettono la più parte degl'huomini sin' che venne Lodouico Fogliano a far palese il loro errore. & questo basti circa l'inuentione di Pitagora.
Didimo poi comprendendo con l'intelletto dalla forma del Ditono & Semiditono, & dell'vno, & l'altro Hexachordo, & vdendogli con il senso secondo la Distribuitione di Pitagora dissonanti; & per il contrario consonarne altri fuor di quelli è tra le voci, & negli strumenti, andò cercando se con la medesima facultà aritmetica si poteuano (con formargli d'altra misura) far' consonanti, dato però come credono alcuni che tal fusse il suo fine; il che troppo bene gli successe: & questo fu per mio auuiso il mezzo che lui tenne: rimettendolo sempre al parere di chi meglio di me intendesse.
Andò considerando, che dall'aritmetica diuisione della Dupla, nasceua la Sesquialtera & la Sesquiterza come quì si vede 4. 3. 2. lequali formano la Diatessaron et page 108la Diapente, diuidendo poi i termini di questa nella medesima maniera, ne risultò la Sesquiquinta, & la Sesquiquarta come qui si vede 6. 5. 4. i quali due interualli trouò assai vicini al Ditono & al Semiditono di Pitagora, & di più consonanti. il maggior de quali è parimente nell'estrema sua perfettione, & punto più teso piacerebbe assai meno. accompagnando poi la sesquiterza con la sesquiquarta, & la sesquiquinta di nuouo con la medesima sesquiterza, hebbe da tali accoppiamenti la maggiore & la minor Sesta molto vicine al maggiore & al minore Exachordo di Pitagora, & in oltre consonanti. dopò ilquale acquisto parutogli d'hauer fatto, diuise la parte maggiore della sesquialtera in questo modo 10. 9. 8. dal che ne risultò il sesquinono & il sesquiottauo, nellaqual dispositione aritmetica gli lasciò Didimo nel suo Sistema; il che corresse poi Tolomeo con mettere il sesquiottauo nella parte graue & nell'acuta il sesquinono, per fuggir forse i due sesquiottaui contigui che vengono nella Distribuitione di Didimo, gli estremi de quali son dissonanti non altramente del Ditono di Pitagora; & questa è la differenza che si troua tra Didimo, è Tolomeo. poi come ne' Sistemi naschino gli altri interualli si è a suffizienza detto di sopra.
Che Didimo in oltre migliorasse o peggiorasse la Distribuitione da quella che ordinata prima haueua Pitagora, lo lascerò giudicare a quelli page 109che hanno di questa facultà buona cognitione.
Per intelligenza hora del Diatonico Incitato di Aristosseno comincerò vn poco da lontano il ragionamento. & dirò in fauor suo (poi che tale è il desiderio di alcuni Aristossenici amici miei) quanto mi sarà conceduto dalla capacità del mio intelletto. riserbando però la verita al suo luogo, della qual son per dire con pace di ciascuno quell' io ne sento.
Dico prima, marauigliarmi molto di coloro che lo riprendono, quando disse che tutto il giudizio che far si doueua de' suoni & delle voci, si haueua da rimettere interamente al senso dell'vdito; conciosia che da questo & non da altra ragione deriuò poi che gli huomini considerarono le forme degli interualli musici tra le proportioni de numeri, è tra quelle delle linee: applicandole in oltre alle corde, alle canne, & ad altri corpi sonori. & venendo alla Distribuitione del suo Incitato, è prima da ridursi a memoria che l'Ottaua in qual sia Diatonico, consta di cinque Tuoni & di due Semituoni, ciascun de quali Tuoni è costume de' prattici Contrapuntisti di diuiderlo in due Semituoni, iquali tuttauolta ch'ei non siano vguali, ne seguirà che tra gli elementi musici ve ne saranno molti degli otiosi & inutili, considerati soli in loro istessi, & accompagnati con altri in diuerse maniere.
& che sia vero, in qual sorte di Contrapunto si troua tra due parti posto in atto il minor Semituono? in alcupage 110na certo. è inutile adunque et otioso il minor Semituono in questo affare. più oltre, da questa disugualità de Semituoni, nasce nel nostro Sistema quella differenza che è tra il Diesis di D, & il b, di E. nasce parimente quella che si troua tra il Diesis di G, & il b, di A. lequali differenze non solo ne Contrapunti non si trouano tra due parti, ma ne anco se n'augumenta o se ne scema mai alcuno interuallo. l'istesso accade a quello di che la Semidiapente supera il Tritono. a quello di che la maggior Settima eccede la Diapason diminuita. a quello di che il maggior Semituono supera il minore. a quello di che la minor Nona supera la Diapason superflua. a quelli di che gli interualli che si rachiuggono tra il Diesis di D, & F, superano il Tuono. a quello di che il Ditono è inferiore alla Semidiatessaron. & a quello senza più dirne, di che la minor Sesta è superiore alla Quinta superflua. de' quali inconuenienti (se cosi chiamar si possono) è cagione l'inugualità de Semituoni; dal che ne auuerranno ancora diuerse sorti di Terze, & di Seste minori, che è disordine grandissimo il pensarlo non che il dirlo.
& più nascerebbono di questi tali inconuenienti, se fusse vero che noi cantassimo tra corde stabili i Tuoni di più grandezze; ilche a dire è la più insipida cosa che mai huomo imaginar si potesse: perche in prattica non è stata, non è, & non sarà mai, come demostratiuamente io ho prouato nel page 111mio Dialogo dell'antica, & della moderna musica; ma tra le mobili è verissimo che vi sono in potenza, com'io sono per dimostrare al suo luogo.
Laquale conosciuta da Aristosseno, fu meritamente detestata. Credo che questo grand'intelletto, auanti ch'egli ordinasse il suo Sistema, hauesse considerato & molto bene auuertito ciascun minimo accidente delle dette due famose Distribuitioni, & in particolar questi.
In quella di Pitagora , vedeua il maggior Semituono tenere del tuono la parte acuta, & la graue il minore; & per il contrario in quella di Didimo il minore teneua l'acuta, & il maggior la graue. vedeua in oltre il Tritono Pitagorico superare la Semidiapente; doue questa nella Distribuitione di Didimo è di quello maggiore; le qual cose conosciute da Aristosseno, & per inconuenienti reputate, si risoluette che nel suo Incitato vi fusse vn solo Semituono, che fusse l'intera metà del Tuono, & misura comune di tutti gli altri interualli, & Diatonici, & Cromatici. volle in oltre che de suoi Tuoni, ne contenesse l'Ottaua sei, & de Semituoni dodici, & che gli vni & gli altri fussero vgualmente capaci della medesima quantità di suono; de quali compose poi tutti gli altri interualli del suo Sistema.
quello adunque che constaua d'una di queste dodici parti, lo nominò Semituono, ilqual vien detto ancora seconda minore, a differenza della maggiore che è quella che ne contien due, page 112detto da lui Tuono. quello che consta di tre, è la minor Terza, considerata poi in vn Tuono et in vn Semituono. la Maggiore ne contien quattro, quantunque ella si consideri principalmente constar' di due tuoni. la Quarta consta di cinque di essi Semituoni, & vien considerata in due Tuoni & in vn Semituono. il Tritono & la Semidiapente ne contengono sei per vno: ma quello vien considerato tra quattro corde nel contenuto di tre Tuoni, & quella tra cinque in due Tuoni & due Semituoni: gli estremi suoni di ciascun de quali, hanno tra di loro la medesima proportione che ha la costa del Quadrato al suo Diametro. la Quinta poi contien sette de i detti Semituoni, o vogliamo dire tre Tuoni & vn Semituono. la minor Sesta ne contiene otto, o pur diremo constare di tre Tuoni et due Semituoni. la Maggiore ne contien noue, quantunque ella si consideri composta di quattro tuoni et vn' Semituono. la Settima minore consta di dieci, o pur diremo contenere quattro Tuoni et due Semituoni. la Maggiore ne contiene vndici, o uogliamo dire contenere cinque Tuoni et vn Semituono. l'Ottaua vltimamente consta di dodici, o pur diremo ch'ella contiene cinque tuoni e due Semituoni.
hora questa Distribuitione, non solo parue ad Aristosseno ch'elle hauesse sgombrato da se tutte l'imperfettioni ch'io ho dimostrato nascere nelle due altre; ma ch'ella fusse ripage 113piena di quelle perfettioni maggiori che desiderar si poteuano.
I Semituoni della quale, se noi gli applicheremo per modo di fauellare alla Libbra nostra ordinaria di dodici once, saperemo l'esatta misura, o peso (che per modo di essempio lo vogliamo domandare) di ciascheduno interuallo, per semplice o composto ch'egli sia. laqual cosa nell'altre Distribuitioni ha tanta difficultà, che pochi prattici son hoggi, che senza molta fatica ci sappin' dire (se ben del continouo gli hanno tramano) che parte sia dell'Ottaua alcuno degli interualli che virtualment'ella contiene. doue che nell' Incitato d'Aristosseno, qual sia inesperto fanciullo, lo potrà per la semplicità della sua diuisione, saper in vn subito. nella quale non è cosa quantunque minima, che sia otiosa, vana, inutile, o inrationale, & ciascuna di esse sola, & accompagnata con quali & quante si voglino, si posson porre in atto nel Contrapunto. ne altra Distribuitione dimostrabile fuor' di questa, può trouarsi tra corde stabili, più semplice è più perfetta, & più capace tanto sonata quanto cantata: doue viene esattamente compreso dal senso che parte sia del tutto ciascun'interuallo, con quella facilità & chiarezza maggiore che desiderar si possa. ne è marauiglia, perche il subbietto della Musica che è la voce & il suono, è quantità continoua, & non discreta; & perciò in questa considerati gli interualli musici, vi nascon tante difficultà & page 114imperfettioni quando dimostrar si vogliono, tra corde stabili, mercè delle molte diuisioni che far si possano co 'l mezzo di quella, & non di questa facultà.
ne da altro furono indotti gli Inuentori di questo nuouo Contrapunto, a dire di seguitare la diuisione di Pitagora, & poi di Tolomeo; che da Guido Aretino, & esso Guido dall'autorità di Boetio, & appresso senza pensar più oltre, da Lodouico Fogliano & poi dal Zarlino. imperoche qual sia di mediocre ingegno che ostinatamente non voglia malignare, conosciuti gl'assurdi che ne apportano gli interualli musici considerati tra i numeri nella quantità discreta & siano pur qual si voglino (tra corde stabili come più volte ho detto) confesserà che quelli che noi cantiamo hoggi in queste tante arie insieme, non hanno ne possano appatto alcuno hauere come si è dimostrato le forme da essi numeri, & della grandezza medesima vna volta che l'altra.
Vengo hora a dire, che l'essere il Tritono nella Distribuitione di Aristosseno, vguale alla Semidiapente, corrisponde all'ordine delle consonanze. imperoche hauendone tra esse di quelle che non hanno maggiore ne minore, come sono la Quinta et la Quarta & perciò forse dette perfette, è parimente condecente che tra le dissonanze ve ne siano delle si fatte; & queste sono il Tritono & la Semidiapente. lequali dal priuilegio che elle hanno più dell'altre dissonanze (com'io dimostrò page 115in vn'altro mio Discorso scritto intorno à l'vso di esse) non reputo indegne d'esser nominate dissonanze perfette. habbiamo in oltre la Settima & la Seconda hora maggiori & hora minori, alle quali conrispondono la Terza & la Sesta della istessa maniera variabili.
possiamo adunque da questa variabilità degli elementi musici dire con verità, che l'Vnisono ne rappresenti il centro, et l'Ottaua la circonferenza d'vn cerchio; poiche da essi impoi sono stati tutti gli altri drento a questi estremi sonati, & distribuiti di grandezze diuerse. non habbiamo adunque altro perfetto interuallo, che l'Ottaua poi che lei sola (nell'Aritmetica & nella Geometrica facultà) è sempre contenuta dalla Dupla; doue gli altri sono stati & sono tollerati quando più et quando meno tesi della vera lor' forma, che è quella secondo Aristosseno, che lui gli dà nel suo Incitato, distribuito con il mezzo della quantità continua, sotto laquale vien compresa & la uoce, & il suono, & non sotto la discretta. & che la voce & il suono siano quantità di tali, si raccoglie dal potersi diuidere qual sia interuallo o cantato, o sonato, in due & più parti vguali, che nella discreta è impossibile. pare in certo modo errore grandissimo, hauendo secondo il parer d'Aristosseno la via diritta, breue, piana & sicura da condurci al desiderato fine, il caminare per vna torta, lunga, montuosa, & incerta, dopò laquale ne anco si giugne ad esso.
Laonpage 116de sendo la spezie d'armonia che noi cantiamo di quell'eccellenza che molti credono, non può a patto alcuno esser'quella di Pitagora, ne quella di Didimo, o di Tolomeo che dir la vogliamo, ne qual sia altra, ma sol quella d'Aristosseno, se però tra corde stabili come sono le sue ha da esser questa perfettione.
Potrebbe alcun'hora domandarmi, qual delle due quinte consuoni più, o quella di Pitagora contenuta dalla Sesquialtera, o quella d'Aristosseno che contiene sette dodicesimi dell'Ottaua che viene ad esser alquanto minore. al che rispondendo dico, che quando altra ragione non ci fusse, assai sarebbe che noi restiamo appaggati di quella che noi vdiamo nello Strumento di tasti, che non solo è minore della già mostrata nella Sesquialtera, ma di quella che suona il Liuto che è l'istessa d'Aristosseno; le quali differenze ancor che minime, son però comprensibili.
Di qui appare in certo modo, che la Quinta di Pitagora sia alquanto tesa, quella dello Strumento di tasti alquanto rimessa et quella del Liuto che è in mezzo a queste due sia la vera; che come habbiamo detto è la medesima d'Aristosseno: ancora che per il nostro proposito hauremmo solo a cercar di dimostrare qual sia quella che si adopera hoggi cantando, et non qual sia più consonante: perche la Natura, nelle sue operationi, non ha rispetto a questo o quell'altro nostro comodo & fine, perche opera senza cognitione. & quantunque il fine della page 117Musica sia l'esser'vdita, & che in questa prattica d'hoggi di cantare tant'arie insieme, non si potesse dimostrare che quella che noi cantiamo non è compresa dalla Sesquialtera, questo non importa alla Natura più che gl'importi che vna Cornacchia o vn Corbo viua trecento e quattrocento anni, et vn Homo viua solo cinquanta & sessanta: ne di ciò merita esser la Natura ripresa, ne conuien farne alcuna doglienza. & questo è quanto mi è occorso trattare in fauore di Aristosseno.
Vengo hora per maggiormente dichiararmi à dire, che la Quinta contenuta dalla Sesquialtera, è più perfetta, più suaue di qual sia altra forma; com'io per il mio vdito dopò molte & molte sperienze (poiche con altro mezzo migliore non so potersene hauer certezza) ho giudicato. il che sendo vero com'è verissimo, ne segue necessariamente che la spezie di armonia qual noi hoggi cantiamo, non sia ne possi essere in modo alcuno, veruna delle mostrate; ne altra che fin al presente sia stata dagli huomini conosciuta, com'io sono al presente per far manifesto. & di quì cominciandomi dico, che i Cantori bene esercitati, mediante la sonorità delle voci & il perfetto vdito loro, canteranno sempre ch'ei vorranno, tutti gli interualli musici di quella eccellenza maggiore che si posson desiderare. laquale, come la semplicità, o l'arroganza de gli huomini vorrà in tutto & per tutto tra la stabilità delle corde, limitare con numeri, con linee page 118o con altro; diranno sempre (mediante il non hauere gli strumenti artifiziali la medesima facultà & virtù degli Strumenti naturali) mille impertinenze.
di che so che non prendon marauiglia alcuna gli huomini di giuditio; per iscorgere in molte altre cose della natura questa medesima difficultà. per lo che vengo a dire, esser non men difficile a descriuer con parole, o dimostrare realmente per via di numeri, o di linee il Sistema che noi vsiamo nell'esatta sua forma & proportione; parlo di quello che modulando si canta in compagnia di molti queste tant'arie insieme nell'eccellenza detta; quanto è difficile con terminati periodi, è stabili canoni regolare & proportionare tra di loro i moti de corpi celesti. & questa è forse buona parte della conuenienza che Pitagora giudicò esser tra la celeste & l'umana Armonia.
Qual sarà adunque quel Sistema che noi in tant'eccellenza cantiamo? quello che per l'instabilità delle sue corde, non può senza la detta fatica, esser da parole descritto, ne da linee misurato, ne terminato da numeri, & perche sopra di ciò non voglio al presente fare vn' nuouo libro, come sarebbe dibisogno a chi ben chiarir volesse tutte le difficultà & le dubitationi che mi si parano innanzi per ben decidere ciascun particolare di questo nuouo fatto, verrò per darne qualche poco di lume, a prouar' demostratiuamente che i tuoni che si cantano sopage 119no di due, & i Semituoni di tre grandezze diuerse.
Anderò toccando in oltre superficialmente alcun'altre cose al proposito, & di qualche momento, riserbando quello che di più si desidarasse di questo negotio, a migliore occasione. ilqual poco di lume ci trarrà sicuramente delle tenebre nelle quali siamo stati inuolti da che s'introdusse il modo di cantare più arie insieme, sin ad oggi, che i tuoni si cantino di due grandezze come io ho detto, di quì si conosce.
Noi habbiamo due parti che cantano questo interuallo C. c. di poi facciamo ascender la parte graue per vna Quinta in G. & per vn tuono l'acuta in d. dico quel tal tuono che s'è cantato tra c. d essere stato vn intero sesquiottauo, & lo dimostro in questa maniera. tra C. G è vna Quinta, & dal medesimo G. c vna Quarta; laquale diuerrà quinta sempre che ella si augumenti d'vn sesquiottauo, di che l'è venuta augumentare la parte acuta nel passare di c in d. si adopera adunque tra la c. d il tuono sesquiottauo, che è quello che si doueua dimostrare.
ch' ei si canti vn tuono di questo minore, ecco ne l'essempio. cantano due parti la G. d. fo dopò scender la G in C, & ascender la d in e. dico che sendo la G discesa per vna quinta in C, che la d è ascesa in e per vn tuono del sesquiottauo minore. & che sia vero. due quinte aggiunte insieme contengano vn'ottaua & vn sesquiottauo di più, che fa vna nona: di maniera, che sempre ch'essa nona si page 120augumenti d'vn'altro sesquiottauo, diuerrà decima maggiore dissonante; perch'ella sarà della grandezza medesima della replicata dell'antico Ditono. talmente che se la Decima detta consuona, ne segue necessariamente che nell'andare la parte acuta di d in e vi sia andata com'io dissi. con vn interuallo del sesquiottauo minore. la C. e consuona, vengo adunque hauer dimostrato il mio intento, dalche ne segue, che sendo due i Tuoni, tre almeno doueranno esser'i Semituoni.
Ma da quello che io ho dimostrato al presente, potrebbe il Zarlino argomentando dire, ch'io habbia inauuertemente confessato cantarsi come lui dice, il Tuono maggiore tra C. D. & il minore tra D. E. il che affermo esser vero: ma tra di noi è questa differenza. lui vuole che gli interualli siano contenuti (come per l'essempio del Monochordo Sintono si conosce) da corde stabili, & io (come pur hora ho dimostrato) da corde mobili. & lui è mosso da quello che semplicemente ne scrisse già Lodouico Fogliano, prestandogli senza più oltre cercare, indubitata fede; & in vece poi di farci constare che fusse vero quello che lui ne disse, ci haueua condotto il Zarlino con le sue Cantafauole, in mille più errori & in mille più confusioni di prima.
Laonde noi, mossi dalla verità, fondata nell'esperienza della cosa, venghiamo a far palese di nuouo il loro errore con diuerse Dimostrationi. lui vuole che al Tuono minore sucpage 121ceda il maggiore, è a questo succeda quello; & io dico poterne succedere della medesima spezie tre & quattro l'vno dopò l'altro, anzi esser molte volte di necessità che questo segua. & secondo che più de maggiori, o de minori sono occorsi nella Cantilena, ascendendo, o discendendo: si trouano i Cantori nel fine di essa hauere alzate, o abbassate le voci dall'intonatione del suo principio. ne perciò dico io, che tale accidente cagionato da altro esser non possa: imperoche può molto bene auuenir' ciò, dalla fiacchezza, o gagliardia delle voci; o dalla più, & meno discretione de' Cantori nell'andare à consentendo, o resistendo l'vno all'altro, mediante il molto, o il poco loro vdito. ma quando le voci sono vniforme, & con vgual discretione & giuditio de Cantori esercitate, non d'altroue procede l'alzare, o l'abbassare della Cantilena, che dalla prima detta cagione.
& per meglio dichiarar la mia intenzione circa la positione de' Tuoni dico, che tra qual si voglino corde capaci del Tuono, vi è in potenza il maggiore, & il minore; de quali le voci si seruono secondo i comodi & le bisogne loro; come cambiando gli essempi dati, o trasportandogli verso l'acuto, o verso il graue si farà maggiormente manifesto chiunque sene piglierà cura. & per far più conoscer questa verità, dico per le addotte ragioni, di che se vna parte dopò l'hauer cantata questa corda a, discenderà in D, & page 122che vn'altra in quel' mentre si parta di e, & vadia in f per far con D aiutato dalla cifera detta Diesis, decima maggiore, che l'interuallo che è seguito tra e. f sarà minore di quando la parte graue si partisse di E & andasse in b. mi cantando l'acuta in quel mentre le due medesime corde mostrate.
Che i Semituoni siano tre, si conoscerà (oltre a quello che di sopra ne ho detto) da quel ch'io sono per dire al presente. Se dalla Terza maggiore si vuole andare alla Quarta, si adopera necessariamente il maggior Semituono da questi numeri contenuti 16. 15. se dalla Quarta si vuole andare al Tritono, si adopera il minore drento a questi altri 135. 128. il qual non fu mai conosciuto dal Zarlino. & se dalla maggior Terza si vuol'andare alla minore, o dalla minore alla maggiore, è impossibile andarui senza l'aiuto del Semituono minimo (inteso sin ad hoggi, per minore) che è contenuto da questi altri termini 25. 24. non senza ragione adunque ho detto, che le Terze maggiori & le replicate dell'Incitato di Aristosseno (mercè della lor lunghezza) non sodisfanno; poi ch'egli nel farle diuenir di minori maggiori, le augumenta dell'intera metà del Tuono; & quelle che naturalmente son maggiori, eccedono le minori della medesima quantità.
doue cantando noi, affine ch'elle interamente ci sadisfaccino, le augumentiamo non dell'intera metà del Tuono, ne anco del minor Semituono; ma page 123123 del minimo; perche di tanto naturalmente (per cosi dire) vengon superate le minori dalle maggiori. & quantunque io habbi dimostrato seruirsi le voci cantando di tre Semituoni, & di due Tuoni necessariamente diuersi, & che di tal quantità d'interualli è forza ch'elle si siano seruite sempre che bene hanno gl'altri di questi maggiori composti & cantati, non perciò volle Aristosseno nel detto suo Incitato, più d'vn Tuono & più d'vn' solo Semituono. atteso che tal necessità non fu da lui, ne da alcun'altro antico o moderno Musico conosciuta; & vi è più nella maniera che noi dimostrata habbiamo esser necessariamente.
non è ne può essere adunque la vera & perfetta Distribuitione di corde il suo Incitato, come credono alcuni che lusingar si lasciano dalle molte sue apparenti mostrate comodità; ma quella sola da noi vltimamente considerata & auuertita prima, che da altri auuertita & considerata stata sia. nellaquale gli estremi degli interualli consonanti, proferiti dalle voci o mediatamente, o immediatamente da vdirsi nel medesimo tempo, vengon sempre compresi dal senso, di quella misura che gli contiene la suprema loro perfettione; se ben da quest'alcuna fiata (come non necessaria) si allontanano nell'esser profferiti modulando l'vno & poi l'altro estremo loro dalla medesima voce; come quella che ne rispetto o relatione d'altra ha che glielo vieti, o di page 124altro effetto cattiuo che cagionar' seco possa.
Dico adunque tornando a' Semituoni, che all' minore, e al minimo auuien' l'istesso che de Tuoni ho detto; cioè ch'ei sono in potenza nell'istesso luogo, & le voci adoperano hor questo, et hor quello secondo che più gli accomoda. della qual cosa il Zarlino, come quello che non seppe trouare doue impiegargli, mai ne ha mosso parola. & pur quant'io ne ho detto di questo fatto, è secondo i suoi principij, è termini & forme degli initerualli. è tornando al mio proposito, vengo a dire, che questo è vno di quei termini, alquale per ancora con vno Strumento da un solo sonato, l'arte non è arriuata, & da lontano da nebbia offuscato fu veduto inconfuso dal Fogliano prima, e dipoi dal Zarlino, et ne scrissero quello ch'ei ne seppero, et gli sene deue (come altra volta ho detto) hauer'obbligo, per hauer dato occasione di far che si cerchi et forse si troui com'io spero per la Dio gratia di hauer trouato la verità; ma la voglia che l'vn & l'altro hebbe del Sintono di Tolomeo male inteso da loro, gli fece sdrucciolare nel mostrato errore per rimedio di che trouò il Zarlino ne Supplimenti, quelle sue chimere di Naturale et d'Artifiziale. & quand'ei voglia acconsentire a quello che io ho detto et demostratiuamente prouato, che credo non potrà far di meno, io subito confesserò che quello che noi hoggi cantiamo, conuenga più che con altra Distribuipage 125tione. con il medesimo Sintono di Tolomeo.
Qui potrebbe alcuno domandarmi, in qual maniera gli huomini con le voci loro cantino ne i medesimi luoghi i Tuoni & i Semituoni delle grandezze diuerse ch'io ho mostrato; non essendone stati prima auuertiti come stati auuertiti non sono, da' Maestri di questa prattica di cantare. al che rispondendo dico. Quando s'impara di portare le voci, il Maestro fa cantar solo lo Scolare, o insieme seco canta all'vnisono; fin tanto ch'ei l'habbia bene apparate: & in quel mentre ha più volte cantato fra l'istesse corde indistintamente, hor'il maggiore, & hora il minor Tuono: & cosi gli è auuenuto del Semituono minimo & del mezzano: & dopò l'essersi cosi esercitato più giorni, comincia a cantare in compagnia d'altri, diuerse Cantilene. & perche di già ha suefatto la voce a piegarsi più & meno a voglia sua; va dipoi piegandola hora verso il graue, & hora verso l'acuto in quella maniera migliore che aiutato dal buono vdito, giudica di accordare perfettamente con gl'altri. ma perche spendo io parole in cercar di persuadere vna cosa tanto manifesta? non vdiamo noi tutto il giorno cantare in eccellenza, da quelli che ne anco conoscano qual sia la differenza che è dal Tuono al Semituono. & dalla Terza maggiore alla minore?
Et di quì auuiene che i Maestri di cantare, dicano (quantunque non sappino la cagione, ma lo giudicano page 126dall'effetto) non potersi a solo a solo apparar bene di cantare; & bisognar pratticarsi in compagnia di molti con la diuersità delle Cantilene a più voci. con il qual modo dell'apparar di cantare conuien'assai il modo dell'apprender' l'arte del disegnare, & del dipignere.
Imperoche di questo ancora s'appara prima (com'altra volta si è detto) a disegnare il naso d'vna figura, la boccha, l'orecchio, l'occhio, la mano & altro; & ciò fanno quei tali hora d'vna & hora d'vn altra grandezza, & veduta, affine che applicar sappin' poi quelle tal parti, & al ritratto di Camillo, di Annibale; & d'altri proportionandole insieme ancora nel fare vna pittura, o vn disegno di fantasia.
E tornando alle voci dico, che dopò l'hauere appreso l'arte del ben cantare, possano a voglia loro & senza veruna difficultà, formare qual sia interuallo musico di ciascheduna misura cantabile & sensibile. & che ciò sia vero, segno cene sia l'esperienza, che giornalmente ce lo dimostra; con vdirle vnire perfettamente cantando insieme con qual sia strumento, & siano pur contenute le corde loro da qual si voglino misure, & proportioni.
Vedrem'hora se alcuno degli artifiziali strumenti suoni o possa sonare nella medesima perfettione ch'io ho detto cantarsi, qual sia Cantilena; per intelligenza maggiore di che è prima da sapere, che nel temperamento dello strumento di tasti ordinario & comune, è credipage 127bile che da huomini di giuditio & ben'esercitati. nella musica, sia stato con diligenza cercato più volte in diuersi tempi la perfettione degli interualli: iquali huomini si risoluettero al fine di acettargli & tollerargli tali quali noi hoggi gli vdiamo: perche più oltre prudentemente giudicorono non estendersi la capacità dello strumento con quella qualità & quantità di corde dalle penne percosse. nel temperamento del quale vengon realmente come in più luoghi ho scritto, le Quinte rimesse, & le Quarte tese dal vero esser loro: & le comportono si fatte, per conoscer che di quanto si migliorassino queste, di tanto si peggiorarebbon l'imperfette consonanze. i Liutisti poi conosciuta nelle quinte & nelle quarte del detto strumento la mostrata imperfettione, o pur che a caso venisse lor' fatte come più ha del verisimile, con il diuer so temperamento e positura de tasti dello strumento loro, ne tolson uia parte; ma tolson ancora uia nel far ciò, parte del buono alle Terze & alle Seste.
Imperoche le fecion tali, che di quella misura che si costumano nel Liuto, sarebbono nell'Arpicordo poco meno che intollerabili. & uengon tollerate nel Liuto per la mollitie & delicatezza della materia del mosso & del mouente, che son le dita, & le corde nel produrre & cagionare il suono. & qual sia che rimouesse queste cagioni con il mettere al Liuto corde d'acciaio, & le percotespage 128se con una o più penne; o nel mettere allo Strumento di tasti corde da liuto, fatte come sa ciascuno d'intestini di Montone, rimouerebbe parimente l'effetto; di che accertar' si può ciascuno a uoglia sua con l'esperienza. assicurandolo che temperando lo strumento di tasti com'il Liuto, senza ri muouer le corde & le penne: o metrendo al Liuto corde come usa lo Strumento di tasti, & lo percuota con una, o più penne, si faranno le Decime maggiori cosi poco grate all'udito, & ui è più quelle che nasceranno con il mezzo del Diesis, ch'elle saranno poco meno che intollerabili. Comporterebbesi il temperamento del Liuto nell'Arpa doppia quant'in esso Liuto, & più forse.
Lequal cose, ho io esperimentate molte uolte insieme con altri. Quegli ultimamente che uolseno negli Strumenti & Sistemi loro (che per Sistema non intendo altro in questo luogo che il temperamento d'uno Strumento) le dette consonanze perfette nella suprema loro eccellenza, come le uolsono i Pitagorici; hebbono le dette Terze & Seste di maniera insopportabili; che non d'imperfette consonanze, ma di dissonanze (come appresso i medesimi Pitagorici) nome si acquistorono; perche realmente son cosi fatte.
Habbiamo fin quì dimostrato che lo Strumento di tasti, il Liuto, il Sistema di Pitagora insieme con quel di Didimo & di Tolomeo, secondo la descrittione che ne fa il Zarlipage 129no, non ci danno ne ci posson dare l'esatto di quello che cantando ci danno le uoci, con tutto che qual'in questa, & qual in quella parte gli s'auuicini. dal che apertamente si conosce, che il Sistema & il temperamento che usa per dir così la Natura con il mezzo delle uoci humane, non è ne può essere in modo alcuno uerun di quelli che si son conosciuti sin'ad hoggi: ma solo quello che noi per la Dio gratia habbiamo ultimamente conosciuto & dimostrato.
Si raccoglie in oltre che quanto più gli strumenti artifiziali hanno i Tuoni minori del Sesquiottauo, tanto più si allontanano le Quinte loro dalla Sesquialtera uera lor forma, & il medesimo auuerrebbe alle uoci, sempre ch'elle si priuassero di esso. ilche è un grande argomento che la uera forma della Quinta sia la Sesquialtera; & quando non fussino in uso le consonanze imperfette, non occorreua altro Tuono del Sesquiottauo; diuiso ne' due Semituoni Pitagorei.
Quali saranno adunque gli Strumenti che hanno la medesima facultà nel sonar' le Cantilene, che hanno le uoci nel cantarle? tra quei di fiato è quello, che non ha fori, come per essempio il Trombone. è tra quelli di corde, quello che sonar si può senza tasti, com'è la Viola; & la Lira se ben quelle imperfettamente: & quando i Cantori cantano insieme con altri istrumenti che son priui di questa facultà; a' quali i tasti & i fori pongono per modo di essempio, page 130freno e termine a gli interualli, come ancora pose l'arte questa medesima limitatione al Sistema di Tolomeo, & a quello d'Aristosseno, & altroue, vengono per il desiderio d'vnire, a deuiare in quel mentre dalla lor propria virtù & natura; andando acconsentendo con il perfetto loro, alla resistenza fattogli dall'imperfetto di quelli. dal che liberate si le voci, tornano nell'esata loro perfettione & potenza di prima; laquale (rimossi gli impedimenti) pongono in atto a uoglia loro. & perche di sopra dissi che la Distribuitione di Aristosseno sonata nel Liuto, & maggiormente nello Strumento di tasti, le Terze & vi è più le Decime maggiori vdire si fanno poco grate, & in particolar quelle che nascono con il mezzo de il Diesis, ancor che realmente siano della misura medesima delle naturali, ne renderò al presente la cagione; & ci sia questo per essempio.
Le voci buone, son più sonore, più delicate, più perfette, più gustose, & cantano in somma meglio gl'interualli musici, che gli suoni alcuno Strumento fatto dall'arte; nulladimeno, chi hauesse a vdire cantar le note, & non le parole d'vna Cantilena; ouero le note di vn Ricercare; più ben sonate in vno Strumento come di tasti, o Liuto ci piacerebbono, che non dalle voci ben cantate, & questo auuerrebbe perche da gli huomini si aspetta & si desidera più oltre, che è il discorrere & parlar cantando.
Quelle terze & Decime page 131maggiori che poco ci satisfanno nel Liuto, & nello Strumento di tasti meno che nel Liuto in quella tal Distribuitione d'Aristosseno, sono tra le corde per così dirle mobili, & non tra le stabili che son più di quelle tollerabili. & perche più tra quelle, che tra queste? perche tra le stabili & naturali non posson in vn certo modo essere altramente gli interualli di quello ch'ei sono, ma ben potrebbe quell'accidente farle di misura & forma che meno ci dispiacessero.
Che apport' adunque quell'accidente a detti interualli, che cosi ci dispiacciono? Gli fa parere all'vdito più de' naturali lunghi; & non senza ragione. impero che la voce nel formare vna Terza, o vna Decima maggiore con il mezzo del Diesis, l'inacutisce meno che non fa quando con l'istesso accidente forma una quinta, come disopra habbiamo demostratiuamente prouato.
Ma perche mi affaticho io tanto in questo, se il medesimo Aristosseno ne suoi scritti apertamente ci dice, esser dissonanti tutti gli interualli minori del Diatessaron, e tutti quelli che sono tra il Diapason & il Diapente? dal che apertamente si raccoglie, che il fine delle sue Distribuitioni fu ciascun altro, che quello di fare le Terze & le Seste consonanti. & il medesimo si può credere di Didimo, & di Tolomeo. di maniera che degni di riprensione vengono a essere coloro, che vogliono contro ogni douere, il perfetto, & l'esatto degli page 132interualli musici da quelle Distribuitioni di corde che a patto alcuno non posson dargliele; ne fu tale (quale coloro credono) l'intentione de gli Autori di esse nel cosi ordinarle. & che dallo Incitato d'Aristosseno in particolare, non si possi hauere tal perfettione, segno di più ce ne sia il vedere gionalmente a Sonatori eccellenti di Liuto & di Viola & in oltre musici, cercar' modi, & mezzi di tor via da i loro Strumenti (con accrescerui tasti) la sopradetta troppo acutezza delle Terze, & delle Decime maggiori.
Più oltre. Gli eccellenti Sonatori di tasti, tutta uolta che nello Strumento loro hanno tirato le Quinte nell'estrema loro perfettione, affermano di trouare in esso com'è veramente, le Terze, & le Seste dissonanti. laqual cosa argumenta, che la Quinta del medesimo Incitato d'Aristosseno, nel contenuto di sette dodicesime parti dell'Ottaua doue lui la constituì, non è nella vera sua proportione. ma si ben quella di Pitagora drento la Sesquialtera. allequali ragioni, aggiugneremo tra le molte che io potrei dire, questa per vltima. è impossibile nel modo del cantare hoggi queste più arie insieme come più volte si è detto, che l'vdito si appaghi della Diapason superflua vsata come minore Nona, resoluta dalla Decima, o dall'Ottaua, nell'istessa maniera ch'ei si appaga della Nona resoluta da' due detti interualli. patirebbe la medesima offesa il senso, nell'vdire la page 133Diapason diminuita vsata in vece della nostra maggior Settima, resoluta dalla Sesta. dal che ne segue necessariamente che la spezie di harmonia che si canta hoggi, non sia ne possia essere in modo alcuno il detto Incitato d'Aristosseno; quando bene si accompagnasse con qual sia de tre suoi Cromatici: oltre che vna sola spezie di Semituoni d'vna grandezza medesima come volse lui nel suo Incitato, (doue la minor Nona è della grandezza medesima della Diapason superflua, & della diminuita la maggior Settima) non può darci l'esatto della cosa, il che si è di già dimostrato.
Hor soluiamo per vltima quest'altra dubitatione, & facciamo di poi fine. Quando le voci tra cinque corde del medesimo Sistema, hauessino a produrre nel medesimo tempo tre contigue Sesquialtere insieme con una Terza minore consonante di che il Sistema come si è dimostrato non è capace: qual partito piglierebbono all'hora le voci? restrignerebbono tra di loro quelle tre quinte, tanto ch'elle fussin' diuenute della misura di quelle d'Aristosseno; & cosi fatte darebbon luogo alla detta Terza minore di farsi consonante.
Fu cortese adunque, & non auara la Natura, nel fare che nel Massimo Sistema, tuttauolta ch' accadesse alcuna delle due necessità, si hauessino da fare le Quinte rimesse, è tese le Quarte; poi che tali sono tollerabili, & non per il contrario con fare queste rimesse, & quelle tese.
Et questo, page 134del presente mio Discorso, sia suffiziente per Fine.
Facciami gratia, quello che si piglierà cura di legger questo mio Discorso, di prima emendare gli errori occorsi nello Stamparsi.
[Figure]
page 135
[Figure]
Faccie Linee Errori. Emendati.
8 6 non
14 20 operato apparato.
18 6 sortisca non sortisca
23 25 arrossiste arrossisca.
32 13 lui ha io ho
38 12 Sintono Incitato.
38 29 ciò & ciò.
63 11 quanta à quanto
70 2 s'io io
73 10 e da sapere da sapere
74 29 è nel suo genere nel suo genere.
89 28 si cantino non si cantino.
96 6 troueranno si troueranno.
128 25 acquisterebbono acquistorono.
[Figure]